È veramente particolare e poco nota la vicenda che a fine ‘800 ha visto protagonisti alcuni esponenti della famiglia marchigiana Lanari(2) che decisero di investire notevoli capitali in una regione del sud, attratti da un territorio molto fertile e ricco di risorse idriche e dalla possibile partecipazione a progetti di sviluppo della rete ferroviaria e idroelettrica.
Note:
(1) Con la denominazione Basilicata, di origine medioevale, la regione entrò, nel 1860, nel Regno d’Italia, ma il più antico toponimo Lucania, di origine preromana o romana, venne ufficialmente ripristinato nel 1932 in epoca fascista, per essere nuovamente sostituito da Basilicata nel 1947, con l’avvento della Repubblica.
La Basilicata è l’unica regione italiana i cui abitanti, i lucani, sono designati con un termine che non ha un legame etimologico col toponimo Basilicata. ⇑
(2) La vicenda dei Lanari a Monticchio è stata anche illustrata con una veste onirica e fumettistica da Giuseppe Palumbo, Breve storia onirica del borgo Lanari:
https://bagnidarte.it/wp-content/uploads/2024/12/BOSCODEISOGNIweb.pdf ⇑
Il luogo: il Vulture.
Il massiccio del Vulture è la zona del nord della Basilicata che con i suoi sette colli e i due laghi vulcanici, rappresenta uno dei luoghi più suggestivi della regione; la sua vetta più alta (1326 m s.l.m.), il monte Vulture, in origine un vulcano formatosi nel quaternario in un periodo compreso fra gli 800.000 e i 750.000 anni fa, è stato attivo fino al Pleistocene superiore, ossia fino a circa 130.000 anni or sono, con lunghe fasi di quiescenza. Il Vulture rappresenta un’unicità nel panorama dei vulcani italiani dello stesso periodo: esso è l’unico che sorge sul versante apulo mentre tutti gli altri sorgono sul versante tirrenico.

I due laghi, il Lago Grande e il Lago Piccolo, occupano le bocche crateriche dell’antico vulcano; entrambi i laghi hanno la temperatura più elevata dei laghi d’Italia e sono alimentati da sorgenti sotterranee.

Su un fianco dell’antico cratere sorge la magnifica Abbazia di San Michele Arcangelo, costruita nell’VIII secolo d.C. intorno a una grotta frequentata da monaci basiliani fin dal III-IV secolo d.C.

I versanti del vulcano sono interamente ricoperti da una fitta e rigogliosa vegetazione favorita dalla naturale fertilità dei terreni che si sono sviluppati dall’erosione delle rocce vulcaniche.
I boschi che ricoprono il massiccio del Vulture sono costituiti essenzialmente da alberi di Castagno, Cerro e Faggio, accompagnati da specie arboree ed arbustive quali la Roverella, l’Acero montano e il Pioppo.
La complessità e l’unicità degli ambienti naturali del Vulture ha consentito il permanere di una fauna ricca e diversificata, che annovera numerose specie protette. La riserva regionale naturalistica(3) del Lago Piccolo fu istituita nel 1971, con lo scopo principale di tutelare la Acanthobrahmaea (conosciuta anche con la denominazione di Brahmaea europaea), una rara farfalla notturna scoperta nei boschi di Monticchio dallo studioso altoatesino Federico Hartig nel 1963. È stata definita una farfalla fossile vivente: un relitto che ci giunge dal Miocene, miracolosamente scampato all’estinzione. Non a caso la zona della riserva, di elevato valore naturalistico, è stata definita uno scrigno di biodiversità.
Nella zona del Monte Vulture si estendono oltre 1500 ettari di vitigno rosso Aglianico. L’Aglianico del Vulture è annoverato tra i migliori vini rossi d’Italia. Le aziende del settore nel territorio sono circa quaranta e producono, annualmente, circa due milioni e mezzo di bottiglie.
Sulle pendici sorgono numerosi stabilimenti per l’imbottigliamento delle acque minerali che sgorgano copiose da molte sorgenti, alcune delle quali ricche di CO2. A Melfi e Lagopesole si ammirano due dei numerosi possenti castelli edificati tra la Basilicata e la Puglia dall’imperatore svevo Federico II, nato secondo la tradizione nella piazza di Jesi (Ancona).(4)

Le imponenti e numerose testimonianze lasciate da Federico II sembrano quasi suggerire un legame storico sotterraneo che, a somiglianza di un fiume carsico che riemerge inaspettato, lega la figura di questo grande riformatore del passato, nato nelle Marche, alla presenza operosa dei marchigiani in Basilicata.


Note:
(3) Per maggiori dettagli consultare il sito: https://www.parcovulture.it/it/ ⇑ .
(4) Federico II fu chiamato “stupor mundi” per l’eccezionalità del suo operato: realizzò nel Regno di Sicilia un centro culturale all’avanguardia, aperto e cosmopolita, si circondò di poeti, letterati, filosofi, artisti, e scienziati con cui comunicava direttamente poiché parlava sei lingue, fondò l’Università di Napoli a indirizzo giuridico (1224), riordinò la Scuola medica di Salerno, promulgò le innovative Costituzioni melfitane, portando a compimento il suo progetto di riforma; osteggiò il potere temporale dei Papi e per tale motivo venne scomunicato due volte; fu ammirato da Dante che però lo pose all’Inferno. ⇑
La mezzadria. Cenni storici e caratteristiche.(5)
La mezzadria è un istituto di remote origini che ha trovato ingresso in diverse codificazioni: il Code Napoleon, il Codice del Regno delle due Sicilie, il Codice austriaco, il Codice Parmense e il Codice albertino.
La lunga fortuna dell’Istituto nasce dalla felice combinazione di due fattori della produzione: terra e capitale forniti dal proprietario (concedente), forza lavoro fornita dal mezzadro e dalla sua famiglia (colono). Il mezzadro contrae in proprio e quale capo della famiglia ne ha rappresentanza legale; le parti contraenti sono sempre e soltanto due: mezzadro e proprietario. Ecco come il Codice civile delinea con chiarezza la mezzadria:
Art. 2141 C.C.: “Nella mezzadria il concedente ed il mezzadro, in proprio e quel capo di una famiglia colonica, si associano per la coltivazione di un podere e per l’esercizio delle attività connesse al fine di dividerne a metà i prodotti e gli utili.”
Art. 2145 C.C.: “Il concedente conferisce il godimento del podere, dotato di quanto occorre per l’esercizio dell’impresa e di un’adeguata casa per la famiglia colonica”
Varie sono le caratteristiche che distinguono la mezzadria dall’affitto di un fondo rustico. Il proprietario è impegnato quale imprenditore di un’azienda agraria e a lui spetta la direzione dell’impresa. Mette a disposizione sia un fondo “appoderato”, cioè fornito di casa colonica adeguata alla famiglia del mezzadro, sia tutti gli altri fabbricati occorrenti per l’esercizio della coltivazione: stalle, magazzini, ricoveri per gli attrezzi e i carri, il forno, il pozzo ecc… Spetta a lui l’investimento dei capitali necessari per le attrezzature occorrenti. A sua volta il mezzadro deve saper gestire la sua attività insieme ai suoi famigliari e collabora attivamente con il proprietario nelle decisioni più rilevanti. La ripartizione degli utili è tendenzialmente a metà come suggerisce lo stesso termine. Invece nell’affitto, oggetto del contratto è solo il podere nudo, la proprietà rimane estranea al processo produttivo, interessata solo a godere di una rendita di posizione con obblighi, oneri e rischi unicamente a carico dell’affittuario che è tenuto a pagare il corrispettivo anche nelle annate improduttive. Il contratto di affitto si diffuse nel Sud dell’Italia dove vaste proprietà terriere (latifondo) venivano coltivate con i metodi dell’agricoltura intensiva e con scarsi mezzi; spesso la proprietà ricorreva a semplici salariati a cui potevano ricorrere anche i mezzadri a proprie spese in caso di necessità: ulteriore testimonianza della fortuna e della flessibilità della mezzadria.
Quindi la mezzadria è stata un istituto molto dinamico poiché presuppone capacità e doti imprenditoriali nel concedente ma anche nel mezzadro che non è assimilabile ad un lavoratore subordinato.
La struttura della mezzadria è testimoniata da un significativo documento datato 29 dicembre 1922, relativo ad un proprietario di Loro Piceno; si riproduce il testo in calce a questo scritto dal quale emerge con chiarezza l’equilibrio tra il fattore lavoro e la capacità reddituale del terreno legata alla estensione e alle condizioni della terra da coltivare e da destinare all’allevamento.
Qui non è il luogo per esaminare ed illustrare le cause che hanno decretato la fine della mezzadria dal 1964 in poi:
“Art. 3 – A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge non possono essere stipulati nuovi contratti di mezzadria”. (Legge 15 settembre 1964 n. 756).
Qual era la situazione della mezzadria in Italia sul finire dell’800, periodo in esame?
Come accennato in Basilicata il sistema della mezzadria era poco conosciuto e raramente praticato; il contratto agrario più diffuso era l’affitto retaggio di un’economia feudale: l’aristocratico e il borghese non erano in grado di assumere un ruolo attivo per le scarse conoscenze delle tecniche agrarie. L’affittanza, inoltre, poneva i contadini nullatenenti in aperta concorrenza tra loro con il risultato di aggravare la loro condizione sociale. Lo sfruttamento dei lavoratori era tale da costringerli a cercare fortuna altrove: tra il 1876 e il 1900, infatti, lasciarono la regione 180.000 lucani e soltanto 56.000 rimpatriarono.(6)
La mezzadria, invece, era diffusa soprattutto nell’Italia centrale: Marche, Toscana ed Umbria; era più limitata nell’Italia settentrionale; quasi del tutto assente nell’Italia meridionale e nelle isole.
Paradossalmente fu proprio l’emigrazione dei contadini lucani a lasciare spazio per l’arrivo dei contadini marchigiani. Infatti in questo panorama si sviluppò l’iniziativa dei Lanari che già presenti nel Sud dell’Italia avevano conseguito una buona disponibilità di capitali provenienti dalle loro attività nel campo delle costruzioni ferroviarie e dell’industria idroelettrica.
Note:
(5) Per approfondimenti storici e giuridici si rinvia alla Voce Mezzadria, in Enciclopedia del Diritto, Giuffrè, Milano 1976. ⇑
(6) Pantaleone Sergi, “Noi restiamo circondati dal vuoto”: https://www.icsaicstoria.it/wp-content/uploads/2018/06/01.Sergi-emigrazione_incontri.pdf.
I tassi migratori più elevati si registrarono fino al 1914. Tra il 1869 e la Grande guerra emigrarono quasi 15 milioni di italiani, cioè il 50% degli espatri registrati nell’intero periodo considerato in: “Una sfida della Storia e della contemporaneità” di Lorenzo Sinisi, Pacini Giuridica: https://diges.unicz.it/web/wp-content/uploads/2023/02/Volume-Emigrazioni-e-immigrazioni.pdf. ⇑
L’arrivo degli imprenditori marchigiani
Monticchio è la località del massiccio del Vulture che con le sue potenzialità attirò l’attenzione di Annibale e Ubaldo Lanari, originari di Varano di Ancona; l’idea di investire su quel territorio prese le mosse nel 1892. L’impresa non era facile: il territorio era ricoperto da una rigogliosa e fitta vegetazione che era servita anche da riparo ai briganti “postunitari”, non erano regolarizzati i bacini dei laghi e dei corsi d’acqua, poco curati i boschi, sfruttati per il pascolo e soprattutto per ricavarne legname per i lavori ferroviari, era difficile il reperimento di mano d’opera specializzata.
Tuttavia le ricchezze naturali del Vulture erano tali da offrire stimolanti prospettive di trasformazione fondiaria che non sfuggirono all’Ingegnere Annibale Lanari che, tramite l’Accomandita Lanari, partecipata da importanti gruppi bancari, nel 1892 ricevette in pagamento di alcuni lavori ferroviari un vasto comprensorio di circa 5.000 ettari di terreno, in massima parte boschivo, da destinare a colture cerealicole, all’allevamento e alla commercializzazione delle acque minerali.
I problemi preliminari da risolvere furono molti, principalmente quello della creazione delle infrastrutture necessarie per l’assunzione della mano d’opera che, per le ragioni accennate, non era facilmente reperibile.
Solo nel periodo 1893-1900 i capitali impiegati per bonifiche, impianti e rimboschimenti furono notevoli se rapportati ai costi dell’epoca:(7)
– Anno 1893 Lire 12.746,30
– Anno 1894 17.203,70
– Anno 1895 31.112,35
– Anno 1896 33.147,60
– Anno 1897 19.881,95
– Anno 1898 31.863,35
– Anno 1899 26.706,40
– Anno 1900 32.305,60
TOTALE Lire 204.957,25
Per ottenere un’azienda agricola moderna ed efficiente i Lanari introdussero a Monticchio il regime mezzadrile rifacendosi all’esperienza marchigiana, da loro indirettamente conosciuta, apportando però diverse migliorie per incentivare il trasferimento dei coloni dalle Marche alla Basilicata; in pochi casi ricorsero anche ai contratti di affitto.
Quindi fu necessario creare nella tenuta tutte le condizioni per l’accoglienza delle famiglie coloniche marchigiane; anzitutto si dovette ampliare la superficie coltivabile mediante un’opera di disboscamento così estesa che fece sorgere aspre polemiche. Si ricorda che la Regione fu spesso spogliata delle sue foreste; in particolare fornì per secoli legname per le costruzioni civili e per la costruzione delle flotte militari e commerciali dall’epoca preromana fino all’avvento della rivoluzione industriale.
Al centro dei poderi furono edificate, in vicinanza di pozzi o fontanili, le case coloniche sul modello di quelle marchigiane. Esse, infatti, si svilupparono su due livelli: al piano terra la stalla, il ricovero attrezzi e carri, il forno; al piano superiore le camere da letto, la cucina e il magazzino. Una differenza che le distingue: la scala di accesso al piano superiore era interna e non esterna come ancora vediamo nei vecchi casolari.

Nel periodo 1901-1929 i Lanari costruirono 45 case coloniche e altri fabbricati per i salariati, i magazzini per i cereali, la chiesa, la scuola e l’ufficio postale.

Nasce così in Basilicata un borgo di stretta impronta marchigiana dove fu possibile anche praticare cure termali grazie alle proprietà salutari delle acque minerali; il borgo pertanto assunse la denominazione di Monticchio Bagni.

Sistemato anche il sistema viario all’interno della tenuta, e risolto il problema abitativo, i Lanari fecero arrivare i coloni dalle Marche in particolare da Jesi, Montemarciano, Osimo, Chiaravalle, Falconara, Appignano e Varano di Ancona. Tanti, ovviamente, i cognomi marchigiani: Angeletti, Ghirlandini, Della Rossa, Torregiani, Crudeli, Lucioli, Ronconi, Sabbatini, Pallotta, Cavalli, Ambrogi, Civerchia, Corinaldesi, Polverari, Sena, Lela, Giannini, ecc. Molti discendenti di quei coloni sono tuttora presenti nel borgo la cui popolazione attuale è di circa 400 persone.
Anche i buoi, indispensabili per la lavorazione dei campi e il trasporto dei prodotti della terra, erano di razza marchigiana!

Ma stava per nascere una nuova dimensione del lavoro: moderne macchine ed attrezzature agricole che potevano alleviare la fatica dei coloni e rendere sempre più produttiva l’azienda; proseguiva così la modernizzazione dell’azienda a cura dei Lanari. Alla loro iniziativa corrisponde un sollecito adeguamento dei contadini che si specializzano nell’uso dei macchinari(8) dando ancora una volta prova delle grandi capacità dei contadini marchigiani apprezzati in tutto il mondo.

L’attenzione dei Lanari si rivolse anche allo sfruttamento delle acque minerali della sorgente Gaudianello, conosciute sin dall’antichità ma sfruttate in modo artigianale. Essi intuirono le prospettive economiche di questo bacino idrico che attualmente detiene il 30% delle riserve nazionali delle acque minerali. I Lanari ammodernarono gli impianti di imbottigliamento e commercializzarono le acque della sorgente Gaudianello creando una distribuzione a livello nazionale.


I Lanari predisposero anche una campagna pubblicitaria sia per far conoscere ad un vasto pubblico le proprietà dell’acqua minerale Gaudianello sia per competere con altre aziende storiche del settore già operative nella zona del Vulture ma a livelli artigianali quali le sorgenti captate dalle famiglie Traficante e Cutolo.

Le attività dei Lanari si svilupparono e consolidarono sotto la guida dell’Ing. Arnolfo Lanari di cui si ricorda anche il fastoso matrimonio con la baronessa Annita Riccardi.(10) Sotto la sua guida le acque minerali vennero esportate anche in America.

L’estrazione a cura dei Lanari durò fino al 1943. Attualmente l’acqua della sorgente Gaudianello è imbottigliata e distribuita da “Acque minerali d’Italia S.p.A.”, con sede in Milano, controllata da Clessidra Holding, che distribuisce anche le acque con i marchi Sangemini e Norda.
L’azienda Traficante si ampliò e divenne oggetto di una parziale operazione di industrializzazione con l’ampliamento degli stabilimenti e l’introduzione delle prime automazioni. Il processo si concluse nel 1979 con la trasformazione in società di capitali e la realizzazione del nuovo stabilimento. La storia più recente vede l’azienda crescere esponenzialmente; oggi le acque di questa sorgente sono imbottigliate da “Fonti del Vulture srl”, dal 2006 controllata da Coca-Cola HGB, e distribuite con i marchi Lilia e Sveva.
Anche l’altra azienda storica, quella della famiglia Cutolo, dopo anni di difficoltà e crisi, è stata acquisita e rilanciata da gruppi industriali fortemente capitalizzati in grado di modernizzare gli impianti e realizzare economie di scala; oggi le acque della sorgente della famiglia Cutolo sono distribuite da “Acqua Minerale San Benedetto S.p.A.” con sede in Scorzè (VE), che immette sul mercato le acque naturali con il marchio San Benedetto e le acque effervescenti con il marchio Cutolo.
Note:
(7) Dati tratti da “I poteri Urbani”, AAVV, a cura di Nino Calice, pag. 44, Basilicata Editrice, Matera 1987. ⇑
(8) Si veda anche: “Un esempio di colonizzazione in Basilicata” di Costantino Conte:
https://consiglio.basilicata.it/archivio-news/files/docs/10/44/88/DOCUMENT_FILE_104488.pdf ⇑
(9) Tutte le foto storiche sono tratte da: “Flash-back – Monticchio Bagni in bianco e nero”, edito a cura della Pro Loco di Monticchio 1998, per gentile concessione del curatore Donato M. Mazzeo, attivissimo animatore di eventi culturali. ⇑
(10) Foto tratta dall’Epitalamio di G. E. Anastasia, Tipografia Scafati 1931 (Archivio privato). ⇑
Una tipografia marchigiana in Basilicata
Merita di essere segnalata, e approfondita, la presenza a fine ‘800 di un’altra famiglia marchigiana in Basilicata, quella dei tipografi Ercolani originari di San Severino Marche. Non sappiamo se la loro presenza è in qualche modo ricollegabile all’arrivo dei Lanari.
È certo che gli intellettuali e i politici dell’epoca, tra cui spicca il grande meridionalista Giustino Fortunato, avevano percepito la necessità di spezzare l’isolamento geografico della regione; numerose gli interventi in Parlamento per l’ammodernamento e la costruzione delle strade ferrate alla cui costruzione parteciparono anche i Lanari. Al contempo quelle menti illuminate avvertivano che la stampa era l’unico mezzo per l’epoca per creare sia una coscienza identitaria, lo Stato unitario era da poco sorto, sia per animare il confronto politico e culturale che nella diversità delle opinioni mirava a promuovere l’elevazione sociale delle classi meno abbienti.
Il tipografo si chiamava Torquato Ercolani e aprì una tipografia in Rionero in Vulture (Potenza), che ebbe subito un gran successo essendo l’unico mezzo disponibile per la circolazione delle idee; in quella tipografia si stampavano molte pubblicazioni tra cui L’Educatore lucano, Rivista quindicinale che pubblicava articoli di pedagogia, metodologia, sociologia, politica, economia, attualità e cultura.(11)

La tipografia ebbe molto successo anche grazie ai premurosi consigli dello zio Augusto. L’attività fu molto intensa tanto che gli Ercolani aprirono in Melfi un’altra tipografia a cui si dedicò Benedetto, un altro membro della famiglia.
Note:
(11) Sulle altre pubblicazioni uscite da questa tipografia si rinvia a: M. Pinto, L’educatore lucano-La scuola e i maestri nella Basilicata postunitaria, Associazione Culturale Memopolis 2016, pag. 69 e ss. ⇑
Conclusioni
I Lanari furono senz’altro attivi con uno spiccato piglio imprenditoriale caratterizzato da una presenza dinamica, forte; essi sfruttarono tutte le altre fonti di reddito della tenuta (acque minerali, bagni, elettricità, costruzioni ferroviarie) per diversificare il rischio d’impresa e compensare l’eventuale andamento negativo del settore agricolo. Quindi una dimensione dell’impresa nuova e moderna che animò un vivace dibattito circa l’esportabilità del modello Lanari in altre zone del Sud dell’Italia.(12)
Note:
(12) Per maggiori dettagli sulla vicenda dei Lanari si rinvia all’opera già citata “I poteri urbani”. ⇑
Arturo Brienza (un lucano nelle Marche)



