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Palazzo Cecchi: Una nipote racconta

La Signora Elena Magnalbò Cecchi, figlia di Teresa Cecchi e nipote del dottor Amilcare Cecchi e della Contessa Giuditta Gentiloni Silverj, con grande lucidità, vivacità di ricordi e senso dell’umorismo ci parla delle sue frequentazioni estive di Palazzo Cecchi, dei suoi nonni speciali, di altri parenti, del personale dipendente. 

Dalle sue parole emergono tratti della Storia locale e nazionale e lo stile di vita di una famiglia dell’alta borghesia.

In particolare conosciamo così i passatempi, l’educazione, gli studi, i rapporti affettivi di una bambina prima e di una giovane donna poi, appartenente a quel ceto sociale.

Signora, vuol condividere con noi i suoi ricordi legati a Palazzo Cecchi?

Signora Elena: Volentieri. A Palazzo ho passato con i nonni ogni anno qualche giorno durante le vacanze estive, mentre mio padre (Giovanni Magnalbò, noto avvocato in Macerata-ndr) e mio nonno Amilcare andavano a Sarnano a bere le acque alla fonte di San Giacomo e a giocare a carte con il professor Baglioni.

Ha trascorso anche qualche Natale a Palazzo?

Signora Elena: No, anche perché i nonni d’inverno difficilmente stavano a Loro.

Può parlarci dei suoi nonni Amilcare e Giuditta?

Signora Elena: Ho un ricordo bellissimo di mio nonno che è stato l’ultimo dei nonni che mi è venuto a mancare, è morto molto anziano. E’ stato molto lucido fino alla fine. Lui aveva la passione della storia, la passione dei fiori e dell’agricoltura, aveva frequentato la Facoltà di Agraria nella tenuta di San Pietro fuori Perugia, quindi aveva proprio la passione della campagna. Era un po’ filosofo, molto tranquillo; ci stavo tanto volentieri con lui. Era molto paziente, molto colto, leggeva molto, conosceva la letteratura e molte poesie; era un piacere la conversazione con nonno. Anche la sua cultura lo portava ad un atteggiamento contemplativo.

Nonna era diversa, era molto intelligente, interessata a tante cose, impegnata in politica perché era Federale, ma anche nonno era Podestà ad Urbisaglia. Nonna era più vivace, più energica, più battagliera; con Don Rolando (Di Mattia, allora Parroco di Santa Lucia-ndr) ha avuto qualche discussione, lui era molto molto particolare, si intratteneva a parlare davanti alla farmacia di Pietro Santini…mi pare di vederlo, lì a chiacchierare. La farmacia era un punto di incontro. Noi comunque andavamo a messa a S. Maria in Piazza, dove c’era un sacerdote più tradizionale (Don Morbiducci, Parroco di Santa Maria-ndr). Non ricordo i cognomi ma le figure dei due sacerdoti le ricordo molto bene.

Anche nonno, dopo ogni predica di Don Rolando, gli diceva: “Guarda, io ho capito tutto quello che hai detto ma gli altri non hanno capito niente”. Egli rispondeva: “A me non interessa niente: io sono così

Lei percepiva qual era il ruolo sociale e politico che avevano i suoi nonni?

Signora Elena: Era normale, perché faceva parte della vita. Ma era tutto tanto semplice, stavamo tutti tanto bene. In confronto ad oggi, noi ragazzi non avevamo niente; io mi divertivo anche in campagna, andando in bicicletta, giocando a tennis, facendo passeggiate. Qualche volta papà ci accompagnava fuori a ballare. Anche quando ho ottenuto la patente, ad un certo momento, verso mezzanotte dovevo tornare a casa: proprio sul più bello si tornava a casa!

La contessa Giuditta era molto esperta anche di cucina, sappiamo che faceva i cappelletti con suo nonno…

Signora Elena: Sì, nonna faceva i cappelletti, preparava un’ottima galantina ed era bravissima nel cucinare la cacciagione, senonché nonno aveva la mania del fagiano un po’ “faisandè” cioè, secondo me, lasciato frollare un po’ troppo. A me questo non piaceva

A casa dei nonni mangiava qualcos’altro di particolare?

Signora Elena: Sì, il “pan di pollo”. Era una delizia, morbido, morbido. Lo cucinava Mimì, una domestica di Colmurano, rotondetta, che è stata con i nonni per tanti anni. Faceva anche delle frittate favolose, ci metteva dentro le chiare montate.

Chi procurava la cacciagione?

Signora Elena: A mio padre piaceva andare a caccia e anche giocare a bigliardo con Attilio Pascucci (possidente-ndr). Nonno aveva la nocetta (installazione per la caccia di uccelli di passo-ndr) da Pisani, sotto casa di Dante.

Una nostra passeggiata era, appunto, andare alla casa di Pisani: prima c’era la casa di Dante, poi quella di Pisani, poi il Camposanto. Un’altra passeggiata era fino alla Chiesa delle Grazie. C’era un prato davanti, ci andavamo con la merenda. Ogni anno ci ritrovavamo lì con gli amichetti di Loro; giocavamo con la palla, la corda per saltare, i tamburelli,  i cerchietti e alla “campana”. Era la vita semplice di una volta.

Lei ricorda Dante?

Signora Elena: Sì, benissimo, era il factotum di casa, abitava come ho detto un po’ prima del Camposanto; curava la cantina, si interessava di tutto, era un uomo perfetto. Dante aveva sempre un volto sorridente. Lo ha conservato tuttora? Mi è sempre rimasto impresso questo viso sereno. Veniva a trovare i nonni anche a Tolentino. Era forte: una volta è caduto e si è rotto un femore ma è tornato a camminare benissimo.

Del Palazzo che cosa ricorda?

Signora Elena: C’erano ambienti piuttosto grandi, come in tutti i palazzi signorili molto ampi, c’erano degli spazi poco funzionali forse, però belli; inoltre c’erano due terrazze bellissime, con un panorama unico, sotto con una veranda dove nonna dipingeva. Aveva i suoi pennelli, i suoi cavalletti, i suoi colori. E piaceva anche a me tanto pasticciare con i colori e ho potuto godere degli insegnamenti di mia nonna. Dal terrazzo superiore c’era un panorama quasi a 360 gradi: i Sibillini dalla parte di Loro, quindi dalla parte del Pizzo di Meta, la Sibilla e poi il Vettore e giù giù in fondo il Gran Sasso, poi la Maiella e poi da quest’altra parte i Monti dell’ascolano, quindi i Monti della Laga, il Monte dell’Ascensione, il Monte dei Fiori…; era bellissimo.  Nonna ha dipinto un quadro con tutta una panoramica delle montagne intorno e dei paesi, ma anche altri quadri del panorama montano, molto belli. Io poi ho portato i miei figli a camminare per i Sibillini in lungo e in largo, anche in un anno di grande siccità: abbiamo purtroppo visto le conseguenze del cambiamento climatico. Faceva l’impressione di un paesaggio lunare, proprio un’impressione tremenda. Il lago di Pilato era completamente prosciugato e noi pensavamo con angoscia alla sorte del “Chirocefalo del Marchesoni” (piccolo crostaceo endemico del lago di Pilato-ndr). Per fortuna si è salvato.

Ci hanno detto che nel terrazzo inferiore del Palazzo c’erano molti fiori, molti vasi è vero?

Signora Elena: Si, c’erano molte piante e molti fiori. Era molto piacevole. A casa di nonna c’era una stanza che mi affascinava: quella dei giochi e nonna aveva fatto fare per me e Annarella (Anna Rosa Cecchi cugina della sig.ra Elena-ndr), per le bambole, un armadietto celeste tutto dipinto con dentro le grucce, una delizia proprio. Io non so chi era questo falegname così bravo che collaborava con lei. (Gabriele Piatti, abilissimo artigiano di Loro Piceno-ndr). E poi invece aveva fatto fare per i maschi, quindi per Lullo (Luigi Cecchi, cugino di Elena Magnalbò-ndr) e per mio fratello (Carlo Magnalbò-ndr) una cosa sobria: un armadio con dei ripiani dove c’erano i giochi. C’erano le bambole che mi affascinavano. Questi sono dei ricordi bellissimi. Giocavo con le bambole di Rita e Elena Maria (sorelle Pascucci-ndr), una di queste è stata la più bella della mia vita. Una volta tenevo tra le braccia questa bambola bellissima, ma ad un certo momento ha perso una gamba. Oh Dio mio, s’è rotta la bambola, come facciamo!? Ero disperata, era la loro bambola. Per fortuna c’era mia zia Maria Luisa (Maria Luisa Benadduci, zia della sig.ra Elena-ndr) che disse: “guarda, basta un uncinetto”. Allora si fece dare un uncinetto; dentro il corpo della bambola c’era un elastico e l’uncinetto servì per riagganciare la gamba.

NDR A questo punto il figlio della Signora Elena ci porta l’armadietto di cui la mamma ha parlato: è veramente bellissimo sia come opera di falegnameria, sia nei decori, di tipo liberty, dipinti a mano.

Ricorda altri locali?

Signora Elena: La cucina, una cucina bellissima, grande, non come quella delle suore (storica cucina nel Monastero dell’Ordine delle Domenicane in Loro Piceno-ndr), però una bella cucina con un bel camino. Dietro c’era un’altra stanza dove c’era una vasca per lavare. Nel cortiletto interno c’era il pozzo, ma l’acqua non era potabile, quindi per bere c’era da andare a prenderla o farla bollire. Ricordo anche la famosa stanza dell’acetilene in cui era assolutamente vietato entrare a ragazzini e donne per la pericolosità del gas che serviva, con un procedimento macchinoso, ad accendere tre lampade. Nonna era terrorizzata dall’acetilene.

Ricordo anche che al piano superiore, nel salone c’erano due porte, una delle quali dava in un salottino dove c’era il telefono. Era da lì che nonna mi chiamava, ma allora non lo si faceva direttamente: si passava da una centralinista che era un’istituzione, stava sul corso e appena io rispondevo, mi diceva: “signorina, le passo nonna”.

Accanto al salottino c’era la stanza di lavoro di nonna: al centro si trovava il telaio dove nonna tesseva. La mamma di Dante, che come tutte le contadine tesseva rotoli e rotoli di panno, veniva a sistemare i fili dell’ordito. Era un piacere ascoltare l’alternarsi dei pedali, della spola che passava attraverso i fili dell’ordito e la battuta che fissava i fili della trama. Nonna ci realizzava alcuni lavori che io conservo ancora con cura. (la Signora a questo punto ci mostra vari bellissimi manufatti realizzati dalla Contessa con dei telai che erano a Palazzo; uno di questi, recuperato e messo in sicurezza, si spera possa tornare presto a “casa” dopo i lavori di restauro del Palazzo –ndr).

Nei locali laterali del palazzo da una parte c’era una signora che faceva gli scroccafusi giganti che erano un sogno, buonissimi. Ci sono ancora a Loro gli scroccafusi? Buonissimi, particolari, perché poi sono soffici, non hanno “l’osso”. Dall’altra parte c’era la signora Elsa (prima moglie del commerciante Onesto Mochi-ndr) che faceva la sarta, vendeva tessuti e abitava in una parte sotto al palazzo con un ingresso laterale, dalla quale nonna mi faceva confezionare qualche vestito.

Ci sono altri momenti “loresi” cui lei ripensa con piacere?

Signora Elena: Sì: quando c’era la fiera di agosto a Loro. C’è ancora? Per allora era un avvenimento. Mi sembra che fosse a Ferragosto, per l’Assunta. Venivano tante bancarelle.  A noi piaceva tantissimo. Nonna ci dava una mancetta e allora andavamo in queste bancarelle e facevamo qualche acquisto. Io mi ricordo che una volta comprai tre fazzolettini. Sa per quanto tempo li ho usati? Tantissimo, ero orgogliosa che fossero della fiera di Loro. Si era contenti di queste piccole cose. Si vendevano anche le “coccette” (riproduzione in miniatura di vasellame in terracotta di uso comune-ndr): erano una delizia. Io ce le ho ancora. Mi ricordo anche di quando si andava a prendere l’acqua alla fonte delle suore, con la brocca. Le donne mettevano sulla testa “la spara” cioè un grande fazzoletto della spesa che veniva piegato e arrotolato e vi appoggiavano la brocca per attutirne la durezza: poi camminavano con un equilibrio perfetto, altro che le indossatrici! Quando sono diventata un po’ più grande ho avuto anch’io un brocchetto piccoletto. Si faceva una breve salita, si passava davanti alla farmacia, si continuava di fianco a San Giorgio e si arrivava alla fonte. Continuando la salita, si arrivava al “Girone”, cioè al giardino del Castello. Qui partecipavamo alla colonia estiva che il comune organizzava per i bambini durante le vacanze, sotto la guida di alcune maestre. Facevamo la ginnastica, giocavamo, parlavamo dei compiti delle vacanze (che rimandavamo fino all’ultimo…), cantavamo. Mi è rimasto impresso che mia cugina Annarosa, invece di cantare l’inno sacro “Bella Tu sei qual sole”, cantava “Bella Tu sei qui al sole”.

Questo di cui abbiamo parlato è il suo “tempo lorese”, quello delle vacanze estive, ma il resto dell’anno lei ha abitato e studiato a Macerata?

Signora Elena: Sì, abitavo a Macerata, dove mio padre continuava la tradizione forense di famiglia nell’antico Studio che c’è tuttora curato dalle mie nipoti.

Oltre alle scuole normali ho frequentato un corso para universitario e sono diventata traduttrice in simultanea di inglese.

Ho ricevuto dall’Alitalia la proposta di lavorare a Roma come Hostess di terra ma ho fatto un’altra scelta: in fondo a casa stavo molto bene, ero fidanzata, avevo altri pensieri.

Posso chiederle come ha conosciuto suo marito?

Signora Elena: Certo: ad una festa in campagna. Era un 25 aprile, c’erano tanti amici di università di mio fratello e io invitai un’amica che portò un’altra amica e il fratello di questa che frequentava l’università a Bologna. Io all’inizio ebbi un’impressione disastrosa “Quello che è?” mi chiese. Risposi: “Come quello che è? E’un pesco”. “Ma da dove viene questo?”, pensai “Che ignorante!” 

Poi c’è stata qualche altra occasione. Lui a Bologna era assistente e lavorava moltissimo: era un neurologo. Faceva degli orari tremendi, però aveva modo di comparire. La domenica veniva a messa a Macerata, andavamo tutti a messa a San Giovanni, la tipica, alle 11. Si trovavano tutti gli amici. Lui aveva capito che io andavo lì e quindi si faceva trovare lì.

Tornando al discorso di quella rinuncia che lei ha fatto a Roma, ha poi avuto qualche rimpianto?

Signora Elena: No, no mai. A Macerata si stava veramente bene. C’era cultura, c’erano tante organizzazioni, c’erano il teatro, la “Gioventù musicale”, l’Università. Cioè a Macerata si viveva veramente molto bene. Quando ci trasferimmo ad Ancona mi sentii a disagio, perché culturalmente non c’era lo stesso livello. Poi con l’Università la situazione è migliorata.

Ha ricordi del periodo bellico?

Signora Elena: Ricordo il freddo in campagna perché sono stata sfollata da Macerata. Doveva essere per poco tempo, poi sono stati quasi tre anni ed io ho frequentato la prima elementare in campagna. Eravamo in un palazzo del Seicento che era una residenza estiva e quindi d’inverno c’era tanto freddo. Ricordo tanta paura quando i tedeschi vivevano dentro casa e fuori c’erano i partigiani che potevano fare attentati; noi temevamo la reazione dei tedeschi perché si sapeva che per ogni tedesco ammazzato sarebbero stati uccisi dieci italiani. Dopo la liberazione il palazzo di Macerata è stato presidiato dagli inglesi e dai polacchi che hanno distrutto tutto. Quando tornammo, i miei genitori dovettero disinfestare il parquet perché pieno di parassiti.

Nell’immediato dopo guerra ricorda i tempi turbolenti del passaggio da Monarchia a Repubblica?

Signora Elena: Fu un brutto periodo con anni difficili e un equilibrio instabile. Mi ricordo uno slogan: “se sei italiano degno di questo nome, voti Monarchia”. A noi bambini si insegnava a dire questo, me lo ricordo.

Secondo lei, se il Re non fosse fuggito, la Monarchia si sarebbe potuta salvare?

Signora Elena: Penso di sì: fu una vigliaccata. Quando Badoglio firmò l’armistizio, mio padre disse: “adesso cominciano i problemi”. Così è stato.

Sintesi delle interviste concesse tra l’estate 2022 e l’inverno 2023, trascritte e redazionate da Simonetta Santini, Maria Donata Bracci e Arturo Brienza.