Il corpo d’armata polacco arrivò a Loro Piceno il 30 giugno 1944 con al seguito truppe inglesi e canadesi. Era presente anche il corpo italiano di liberazione (CIL).
Le truppe provenivano da Mogliano, dalla provinciale 61 Loro-Macina.
Esponenti e militanti del partito comunista lorese tra cui Omero Emiliozzi, cui si unì anche l’anarchico Raimondo Piatti, esposero bandiere e manifesti inneggianti alla Liberazione ostentando simboli comunisti come la falce e il martello. Questi manifesti furono fatti immediatamente rimuovere dal comandante delle truppe polacche che per motivi storici avevano subìto l’oppressione e la persecuzione stalinista. Il colonnello polacco obbiettò: “non si può scrivere W gli Alleati ed esporre allo stesso tempo bandiere con la falce e martello”.
Occorre qui aprire una breve parentesi storica per chiarire le motivazioni della presenza dei polacchi nella guerra di Liberazione e le cause della loro avversione al regime comunista che ricaviamo da:”K. Strzalka in – La guerra nelle Marche 1943-1944-il lavoro editoriale a cura di S. Sparapani”.
Il corpo d’Armata polacco agli ordini dell’esercito inglese fu costituito con l’assenso dell’Unione Sovietica nel 1941 in gran parte era formato dai prigionieri polacchi vittime dell’accordo tra Stalin e Hitler del 1939 con cui i due colossi decisero di spartirsi la Polonia. La situazione politica cambiò repentinamente quando i nazisti decisero nel 1941 di invadere la Russia. Iniziarono trattative tra il Governo Polacco in esilio a Londra, i Sovietici e gli Inglesi in funzione antitedesca. A partire dal marzo del ’42 truppe polacche insieme a civili vennero trasportate nei territori del Medioriente, controllati allora dai britannici. Si giunse così alla formazione di una Armata Polacca in Oriente che combatté dapprima in Nord Africa e successivamente nel 1943 come 2° corpo d’Armata venne utilizzato sul fronte Italiano. Era costituito da circa 52.000 unità, sotto il comando del Generale Wladyslaw Anders.
Un bel filmato nel 2015 su YouTube pubblicato da Luca Cimarosa, curatore del locale Museo delle due Guerre mondiali, ci mostra i mezzi militari di fabbricazione USA, britannici e canadesi presenti a Loro Piceno sui quali era ben visibile lo stemma dei Fucilieri/Lancieri dei Carpazi che contraddistingueva la 3° brigata, (un abete verde su campo bianco e rosso, colori propri della bandiera polacca).
Gli scarponi marroni calzati dagli Alleati colpirono in modo particolare i loresi, abituati agli stivaloni neri dei gerarchi fascisti. Alcuni soldati polacchi avevano tatuati sull’avambraccio dei numeri, praticati durante la prigionia in Unione Sovietica.
La permanenza delle truppe polacche a Loro Piceno si protrasse fino alla fine del 1945 e per alcuni è documentata, per varie vicissitudini, ben oltre la fine della guerra, fino agli anni ’50.
I militari alleati erano stanziati nel paese, ma periodicamente venivano richiamati al fronte in quanto i tedeschi si erano arroccati sulla linea Gotica dove resistettero accanitamente. Pesaro fu liberata il 2 settembre del 1944 e Bologna solo il 21 aprile 1945. Le truppe alleate stanziate a Loro Piceno alternavano esercitazioni in assetto di guerra, periodi di riposo e combattimenti in prima linea.
Gli ufficiali polacchi erano stanziati a Villa Anitori, ove è visibile, nell’attuale resort, una grossa cassa lignea con su scritto” POLSKA” e ugualmente a Villa Sorbatti. Il Palazzo dei conti Bernetti era sede del comando militare, mentre a Palazzo Marcucci era situata la dispensa alimentare. I soldati semplici erano alloggiati in case più modeste del centro storico, dove fraternizzarono con i nostri concittadini.
Un polacco chiamato familiarmente Giovanni regalò a Gabriele Piatti, praticante nella falegnameria di Elio Brinciotti, un braccialetto metallico che Gabriele gelosamente conserva.
Questo dono gli fu fatto perché “Giovanni”, tornato indenne dal fronte, ebbe restituite da Elio Brinciotti le 200 mila lire che il soldato polacco gli aveva affidato nel caso fosse morto in battaglia. Sul braccialetto sono incisi i nomi delle principali città liberate con il decisivo contributo e con il sacrificio dei militi polacchi. Nel cimitero di guerra di Loreto sono 1088 le croci dei polacchi caduti nelle Marche.
L’amicizia tra “Giovanni” e il falegname Elio Brinciotti era rafforzata anche da reciproci scambi di alimenti, pur con comprensibili difficoltà linguistiche: la fava ”ngreccia” cioè poco cotta, non fu molto gradita da Giovanni che disse che in Polonia la fava era cibo per i “Crovalli” cioè per i cavalli. Dalla dispensa, sita nel palazzo Marcucci, Giovanni prelevava e regalava ad Elio e al suo giovane praticante Gabriele dei gustosissimi maritozzi e anche delle pagnotte di pane bianco, una vera rarità in quei tempi di privazioni e povertà.
Durante una festa da ballo a Villa Anitori scoccò la scintilla d’amore tra Fede Sorbatti Bonati e Antony Mosiewicz, che si sposarono nel 1946 nella chiesa della Madonna delle Grazie. Celebrante fu il Cappellano Militare del Reggimento.
Antony Mosiewicz,1913-2018, è stato insignito di numerose medaglie al valor militare. Fu un resistente polacco della prima ora avendo combattuto nel 1940 anche in Francia contro i nazisti nelle prime fasi della seconda guerra mondiale.
La sua peregrinazione per l’Europa, nei campi di prigionia dei russi e la sua attività di combattente in Francia, Nord Africa e Italia meriterebbero una biografia approfondita perché rimanda all’esperienza vissuta da tanti altri polacchi.
I coniugi Mosiewicz sono oggi sepolti nel nostro cimitero.
Un altro sposalizio misto fu celebrato nel 1946 nella chiesa di S. Lucia tra Albin Rozanski e Nube Antinori, parrucchiera. Il loro figlio Stanislaw nacque il 19 febbraio 1947 e fu battezzato nella chiesa di S. Maria, padrino Filippo Mochi, madrina Wanda di Spilimbergo nata Marcucci.
Albin e Nube emigrarono nei primi anni ‘50 in Argentina dove attualmente vivono i loro figli e nipoti
Un fatto di cronaca nera, poco ricordato, sconvolse il paese: il suicidio per impiccagione di un soldato polacco ingiustamente accusato di essersi impossessato di una cassetta di valori affidatagli dal suo comandante.
Testimonianza invece di un buon inserimento nella vita sociale del paese è il ritrovamento di un contratto per l’affitto del cinema del Teatro Comunale datato 17 novembre 1945. Il contratto è oggi in possesso di Francesco Emiliozzi Francesco. Venne firmato da Ado Taccari, David Antinori e da un militare del Comando Polacco la cui firma è illeggibile.
Una festa da ballo si svolse anche nel palazzo Municipale dove, essendo venuta a mancare la corrente elettrica, si provvide a superare l’inconveniente con generatori di proprietà dell’esercito.
Altri vividi ricordi riguardano le novità portate dagli alleati polacchi: sigarette impacchettate, cioccolate, arance, gallette, carne in scatola, farina di pane bianco (fornaio era il cappellano militare sopra ricordato), maritozzi, latte in polvere, birra, palloni da calcio in cuoio, tavoli da ping pong… Le sigarette spesso venivano barattate con uova fresche o con fiaschi di vino.
I polacchi furono coloro che subirono i traumi più gravi dallo sradicamento dalla madrepatria tanto da essere considerati apolidi, non avendo documenti che dimostrassero le loro generalità. La cortina di ferro che divise l’Europa in seguito al trattato di Yalta frustrò il loro desiderio di ritornare in Polonia dove per anni scese implacabile la dittatura comunista. Molte di queste testimonianze orali sono state raccolte e registrate dalla viva voce di Gabriele Piatti che all’epoca era un adolescente di 14 anni.
Riportiamo qui il contributo di Simonetta Santini, nipote del Dr. Pietro Santini, letto in occasione della cerimonia di inaugurazione del Museo dedicato alla sezione del 2° Corpo Polacco avvenuta il 16 novembre 2023, a commento dell’articolo scritto dal nonno dopo otto mesi dalla fine della guerra.
“La testimonianza più significativa e toccante della presenza dei militari polacchi a Loro Piceno è stata lasciata dal dott. Pietro Santini in un articolo di giornale del Natale 1945 dal titolo:“A Messa con i Polacchi”.
Antifascista, perseguitato per venti anni, pur avendo subito ogni genere di vessazione e violenza, alla fine del conflitto Pietro Santini perdonò tutti e fu un vero costruttore di Pace.
Le sue parole ci restituiscono un momento di particolare intensità e commozione. Con grande efficacia evoca le atrocità e le terribili sofferenze portate dalla guerra. Sulla base delle sue conoscenze storiche continuamente aggiornate, ci ricorda ad esempio la strage di Katin, in cui furono massacrati 22.000 polacchi: ufficiali, politici, giornalisti, professori, industriali.
Pietro Santini oggi, come allora, ci parla di empatia profonda tra uomini diversi, ci riavvicina all’Umanità di cui siamo tutti portatori, ad un principio di fratellanza che deve spingerci, soprattutto in questo momento in cui venti di guerra sconvolgono e spaventano, a cercare attivamente un percorso di pace, di giustizia e di libertà per tutti.”
Di seguito il testo integrale dell’articolo pubblicato.
“A MESSA CON I POLACCHI” di Pietro Santini “Giornata piena di sole, sole pallido appena tiepido. Folla festiva per le vie. La Chiesa luminosa ha aperto le sue porte, la campana suona a distesa. Centinaia di soldati polacchi nelle eleganti divise in pochi secondi, ordinatamente, riempiono la navata; le laterali piene di cittadini. Un soldato suona la campanella del presbiterio precedendo il cappellano militare: sotto il bordo dei paramenti sacri spuntano le estremità dei calzoni e le scarpe della divisa militare. Tutti si genuflettono. Il celebrante incomincia: il latino suo limpido e armonioso nella pronuncia nitida e chiara. Quando egli si volge, e in lingua polacca legge il Vangelo e lo spiega a lungo, anche noi “civili”, pur non comprendendo altre parole che Gesù e Maria, pendiamo dal suo labbro. L’espressione del viso, la modulazione di voce nella foga giovanile, la signorilità del gesto, le pause e i rallentamenti di dizione danno l’impressione di un artistico colorimento elevato a calda e toccante eloquenza. Poi tutti i soldati intonano un coro lento e maestoso, quasi melanconico. Su quei visi, taluni freschi e rosei, i più recanti le impronte della guerra, passa sulle ali della fede l’onda imponente dei ricordi. Nella visione mistica della Madonna di Czestochowa ciascuno rivede con nostalgia la patria lontana, rivive le laceranti pene delle distruzioni, delle stragi, delle deportazioni che l’hanno massacrata; piange per l’ecatombe degli ebrei, la fossa di Katin, per i focolari spenti, le innumeri madri vestite a lutto, gli orfani e le vedove, e anela al prossimo rimpatrio dell’Aquila Bianca, carica degli allori di Cassino, di Ancona e di Bologna. Il coro si ripete ancora, lasciandoci tutti estasiati. Se non fossimo in chiesa, l’emozione farebbe sgorgare dal nostro petto il canto accorato dell’insuperabile coro verdiano “Va pensiero sull’ali dorate”. La melodia sentimentale del lamento angoscioso per “le torri atterrate del suol natal” in bocche italiane sonerebbe conforto nella comune sventura, solidarietà umana contro la barbarie, e inno di fede nella completa rinascita delle due Nazioni.Torna il Natale e dai Poli all’Equatore riecheggia l’angelico “Pax in terra hominibus”.(1)
Mario Mastrocola
Note:
(1) B.C.M., Ms 1298-XVIII, P. Santini, A messa con i polacchi (1945), ff.2. Citazione presente anche in P. Consolati, F. Mucci, C. Nalli, Loro Piceno, Editore Giuffrè – Milano 1958 pag. 94 e 95