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Il Forno Comunale a Loro Piceno

In origine, il forno comunale si trovava nel luogo dell’attuale porticato del Municipio (progettato a partire dal 1780 dall’architetto Pietro Augustoni). In seguito ai lavori di ristrutturazione del palazzo, il forno venne trasferito in una casa della Confraternita di San Giorgio. Tale casa venne poi ceduta al Comune, quando il quartiere San Giorgio acquisì il nome di quartiere del Sasso. Infatti la denominazione Sasso sostituì quella antica del quartiere di San Giorgio che derivava dal santo protettore del paese, la quale è attestata dalle pergamene dell’archivio comunale sin dal 1346.

Il quartiere di San Giorgio era verosimilmente il quartiere più antico del paese, formatosi nell’area prospiciente il nucleo fortificato del castello e dedicato al santo per eccellenza della nobiltà cavalleresca. La Confraternita religiosa di San Giorgio (che nel XVI secolo cambiò nome in Confraternita del Suffragio) animava la vita sociale di questo quartiere ed operava al servizio dei poveri. Possedeva un ospedale, dietro l’attuale chiesa di San Giorgio, disponeva di un monte frumentario in cui si raccoglievano le scorte di grano per i bisognosi e di una casa con orto che fu concessa gratuitamente alle suore domenicane ad uso di mandatarìa (casa del fattore) dopo l’apertura del monastero del Corpus Domini (12 agosto 1692) all’interno del castello.

Nel forno comunale si vendeva pane a prezzi calmierati.

Durante l’età napoleonica il locale venne venduto a Vincenzo Duranti di Amandola, fu poi riacquistato dal comune per atto di aggiudicazione ed affittato a vari panificatori fra cui il lorese Francesco Ciotti (dal 1813 al 1823) che a sua volta lo subaffittò a Valerio Frontoni per 3 anni al canone annuo di lire 55.

All’epoca il locale, oltre ad essere adibito a forno ospitava un’osteria che, a detta di un esposto della madre superiora Maria Giacinta Ricci, turbava la quiete del vicino monastero: “arreca disturbo non piccolo al monastero medesimo, stante i complotti che vi si praticano del continuo, anche con lo spaccio del vino” (dalla lettera del 23 luglio 1819 al delegato apostolico).

Durante il periodo delle soppressioni napoleoniche le domenicane dovettero abbandonare forzatamente il monastero. Quando tornarono ad occuparlo, nel 1821, esse richiesero insistentemente al Comune un locale per la casa del fattore. Il Comune trasferì nuovamente il forno sotto il porticato municipale.

Il forno continuò ad essere oggetto di appalto negli anni successivi.

Si ha testimonianza che, anche per l’anno 1833, il Priore comunale di Loro con il parere della Congregazione Governativa, approvò il seguente avviso di asta pubblica per la gestione del forno di pan venale:

“Governo Pontificio

Magistratura comunale di Loro

Avviso

il giorno 14 di Ottobre prossimo avvenire circa le ore 21.00 e nei successivi di Mercoledì e di Domenica di ciascuna settimana, fino alla regolare delibera in questa sala comunale, si terranno gli esperimenti di asta per affidarsi a chi farà migliori condizioni, il forno del Pan Venale a tutto il 1833 con diritto di privativa. Chiunque volesse attendervi resti prevenuto che non si ammetteranno offerte di sorte veruna, se non garantite da idonea e contemporanea solidale fideiussione. Che il Capitolato, da servir di base al contratto rimane ostensibile nelle ore d’ufficio nella pubblica segreteria e che le spese tutte e competenze niuna riservata, saranno a tutto carico dal deliberatario tenuto a farne deposito: che però restando alla relazione.

In fede.

Dalle Camere del Palazzo Comunale Oggi 12 di Settembre 1832.

Per il Sig. Priore in permesso Serafino Cecchi-Anziano”

Tale avviso pubblico conteneva allegato il Capitolato da sottoscrivere all’atto dell’aggiudicazione dell’asta. (1)

La prima asta pubblica andò deserta, successivamente nel dicembre 1832 risultarono aggiudicatari, previo accordo verbale, Paolo Bernacchioni del fu Nicola di condizione Fornaro dimorante a Tolentino il quale dichiarò di voler attendere alla conduzione del forno del pan venale, unitamente a Francesco fu Filippo Ventura, possidente di Urbisaglia quale fideiussore.

La Delegazione Apostolica di Macerata ne affidò l’amministrazione e la sorveglianza ai tre consiglieri Giuseppe Mastrocola, Ottavio Tesei e Vincenzo Ridolfi.

La specifica aggiudicazione del forno comunale di Pan Venale non ebbe né una lunga, né tantomeno felice evoluzione. Dai primi giorni del mese di aprile 1833 iniziò uno scambio di lettere e una fitta corrispondenza tra Bernacchioni e Ventura da una parte e il Priore di Loro e l’amministrazione dall’altra in quanto i primi lamentarono che ”l’esperienza però ci ha fatto toccare con mano che in luogo dell’esito di un sacco di pane al giorno non si smercia che una mezza coppa circa, come è noto bastantemente e come si è costantemente verificato sempre dal primo gennaio, anno corrente in fino ad oggi…. l’appaltatore che in tal modo si trova in una rimessa considerabile. Su tale provento osservino di grazia o signori il conteggio genuino dell’esito ed introito del panizzamento di un sacco di grano trascritto a tergo e poi decidono e gli stessi con verità”.

Di fatto Bernacchioni e Ventura presentarono al Priore comunale e agli anziani una lettera contenente le motivazioni della loro volontà di rescindere il contratto in quanto alcune condizioni del Capitolato non erano state osservate dall’amministrazione e le spese sostenute non venivano coperte dai guadagni a loro spettanti. (2)

Il Priore comunale e gli Anziani dell’amministrazione, con varia corrispondenza, comunicarono al Governo di San Ginesio la situazione critica in cui si trovava il forno comunale per la produzione del Pan Venale.

Di fatto Bernacchioni e Ventura scrissero nuovamente all’amministrazione adottando toni determinati: 

“Fatto il confronto tra l’esito e l’introito si conosce che  ci rimette l’appaltatore almeno paolini 9 per ogni sacco,  così alla fine dell’anno circa 50 scudi ai quali uniti altri 70 e più scudi corrisposti a scudi di asta, avrebbe alla fine dell’anno 120 e più di rimessa, oltre le fatiche gratuite del principale e fideiussore e tutto ciò per malignità d’accordo ed intrigo, non essendovi dunque equità di contratto e per questa e per altre cause non addotte l’appaltatore e fideiussore fanno rispettosa istanza alle Signorie loro illustrissime per essere sciolti dal contratto di appalto di codesto pubblico forno e da ogni obbligazione di corrisposta passata e futura verso questa casa comunale. Giacché essi intendono di riconsegnare fin da oggi le chiavi del forno ed anzi di averle già consegnate a codesta famiglia comunale”.

24 aprile 1833 Paolo Bernacchioni e Francesco Ventura 

I successivi scambi di lettere riportano lo scontro tra i due fronti, in cui ciascuno espone le ragioni e le motivazioni personali.

Giungiamo alla data del 7 giugno 1833, quando il Governo di San Ginesio, sentito più volte dal Priore di Loro il quale vorrebbe ricorrere alle vie legali, comunica di disapprovare la risoluzione consiliare, e ricorda che “deve invece assumersi da chi ha dato causa all’inconveniente che ora si verifica, per non essersi  a debito tempo provveduto alla garanzia da darsi dal deliberatario, osservando interamente le condizioni tutte del Capitolato a vantaggio della popolazione e corrispondendo alla comune, l’offerta corrisposta”.

Non possiamo dichiarare che così si concluse la serie di querele da ambo le parti. Possiamo dire solamente che altri documenti in merito non sono stati, per ora, rintracciati.

Dopo il 1870, quando lo Stato della Chiesa cessò di fatto di esistere, mutò anche la dicitura da Pane Venale a Pane Normale, nelle pubbliche aste che il comune indisse per la gestione del forno.

L’asta pubblica, per l’appalto del Forno Normale, per il biennio 1895/1897 vide aggiudicarsi la gara e nominare conduttore Zampetti Ginesio, con sicurtà solidale di Giovanni Zega.

Giungiamo ai primi anni del ‘900 quando il locale, nel quartiere Sasso, tornò ad ospitare il forno comunale.

Per il triennio 1908 /1911 il Comune dovette nuovamente provvedere alla conduzione del Forno Normale attraverso l’asta pubblica con il metodo dell’estinzione della candela. Quali interessati comparvero Francesco Falconi e Riccardo Cecchi, nell’interesse e quale Presidente della Cooperativa di Consumo “Il Riscatto” che fece l’offerta stimata migliore così aggiudicandosi l’appalto. La Cooperativa, non avendo scopo di lucro, essendo stata ideata per migliorare le condizioni di vita delle classi meno abbienti, offrì pane di ottima qualità a prezzi molto moderati e pertanto ottenne grande favore presso la popolazione.

Successivamente si ha testimonianza che il 18 maggio 1915 il Comune ricevette una comunicazione da Taccari Amelio, relativa alla sua immediata disponibilità a lasciare la conduzione del Forno comunale dando però congruo tempo all’Amministrazione affinché  potesse provvedere in tempo alla sostituzione. 

Nel 1927 in occasione del VII centenario francescano il piazzale del Sasso cambiò denominazione e acquisì quella di Piazza Beato Liberato Brunforte.

Nel settembre del 1939 Giuseppe Zampetti, gestore del Forno comunale, dichiara di cessare entro qualche giorno, la conduzione stessa.

Molti furono i gestori del Forno Comunale a lasciare la conduzione alla scadenza e anche in anticipo, evidente che molto limitati dovevano essere i guadagni, dopo aver versato al comune quanto prevedeva il contratto!

Prima dell’indizione dell’asta pubblica, la procedura prevedeva una serie di passaggi alle autorità superiori quale la Regia Prefettura di Macerata competente in materia, la quale trasmise al comune la nota relativa alla licitazione privata per la conduzione del forno, dove si osservava che il canone base richiesto dal comune di lire 50, “appare troppo tenue, specie in considerazione del fatto che viene somministrata anche l’abitazione gratuita”. Vi interesso pertanto esaminare la possibilità di elevare congruamente tale canone”.

Il Podestà Filippo Cecchi in risposta sottolineò che sino a poco prima il Comune aveva corrisposto un sussidio annuo di lire 50 per la gestione del forno, oltre all’uso della casa. Poi fu tolto il sussidio e fu concordato in lire 50 l’affitto ma nonostante ciò il forno veniva abbandonato poiché non ci si ricavava da vivere. Per il Comune era prioritario farlo funzionare per i bisogni del paese. A tale necessità non poteva far fronte l’altro forno privato allora esistente.

Subito furono avviate tutte le procedure e relative delibere per un nuovo affidamento. Infatti in data 15 novembre 1939 fu sottoscritto il contratto per l’appalto della gestione del Forno Normale Comunale tra il podestà Cecchi Filippo e Mochi Vito, miglio offerente, per il canone annuo di lire 470 per la durata di anni 2. Alla licitazione privata con offerte segrete, presentarono il loro interesse scritto anche Di Benedetto Zopito e Antinori David ma con offerte al rialzo sul prezzo base, meno vantaggiose per il Comune.

Nel Capitolato che venne sottoscritto nel 1939, a differenza di quello sottoscritto nel 1833, si leggono contenuti palesemente diversi oltre ad una struttura più sintetica.(3)

Al Capitolato venne aggiunta la nota degli oggetti e attrezzi esistenti nel forno che Mochi prendeva in consegna nel novembre del ’39:

  • Madie in legno di abete, una buona e l’altra in cattivo stato,
  • Castelli in legno di abete (porta tavole) uno buono e l’altro in cattivo stato
  • Tavole in legno di abete N° 4 di cui una in cattivo stato
  • Bilancia a bilico con pesi da Kg.1, 0.5, 0.2, 0.1, 0.05, 0.02, 0.01 tutti in ottone
  • Tavolo di legno di abete in buono stato
  • Banco in legno di abete in buono stato
  • Porta brace di rame in cattivo stato

Dopo la morte del titolare del contratto (Vito Mochi, deceduto il 13/02/1955) nonostante il forno fosse stato condotto dalla moglie Argia (Adele Pisani), il comune a dicembre del 1955 deliberò che il contratto del 1939, scaduto il 15/11/1941, non essendo stato più rinnovato ed essendo deceduto il titolare intestatario della licenza, non poteva essere trasferito agli eredi.

Inoltre essendo cessata la licenza, considerata strettamente personale dalla Camera di Commercio, l’amministrazione si sarebbe riservata di provvedere in merito alla destinazione del forno comunale considerando le eventuali disposizioni in materia e ritenendo urgente disporre sulla prosecuzione o meno della gestione di detto servizio, nel pubblico interesse.

Ulteriormente l’amministrazione si sarebbe riservata la facoltà di individuare o meno altra persona per l’assunzione di un nuovo appalto.

Nonostante che agli inizi del 1956 il sindaco scriva agli eredi di Vito Mochi che il Comune ha dichiarato “rescisso” il contratto in quanto la “licenza” di panificazione che concedeva la Camera di Commercio era “di carattere amministrativo e quindi puramente personale”, il forno continuò ad essere condotto dalla moglie Argia e dalla figlia maggiore Aurelia, che si intestò la licenza in quanto la madre era già anziana, infatti verrà a mancare nel 1967. Con Aurelia, per molti anni, gestì il forno anche il fratello minore Mario.

Il forno era in un immobile di proprietà comunale ma la legnaia si trovava in un locale di proprietà del monastero. Infatti nel 1957 la Priora scrisse al comune di Loro Piceno affinché fosse restituito il locale adibito a legnaia per poterlo affittare, viste le richieste pervenute al monastero stesso, il quale ne avrebbe tratto conseguente beneficio economico. 

A memoria di chi scrive, il forno per oltre cinquant’anni ha continuato ad essere condotto da Aurelia e Mario, e la legnaia è sempre rimasta al suo posto. L’odore del pane che veniva sfornato alle 13.00 circa e che piacevolmente si insinuava nelle case limitrofe rimane nella memoria di chi per molti anni ha vissuto nei pressi del forno.

Aurelia condurrà il forno comunale per oltre 70 anni fino alla morte della stessa avvenuta nel 2004.

Nell’ambiente storico è ancora presente ed attivo lo stesso forno a legna.

Indimenticabile rimane la “crescia” che per quante ne abbia assaggiate in seguito, nessuna ha più avuto lo stesso sapore derivante dal seguire le indicazioni di Aurelia, dall’impastare al suo fianco, dell’infornare e dall’attesa che Mario arrivasse a casa e la consegnasse ben cotta e avvolta nella carta dei sacchi della farina. 

Ma i ricordi sono un’altra storia.

M. D. B. e G.A.


Note:

(1)“CAPITOLATO
deve servire di base per la conduzione del forno e del pan venale con diritto di privativa a Loro per tutto l’anno 1833.

  • Il contratto della vendita del pan venale con diritto di privativa durerà per un anno a cominciare col primo gennaio 1833 e terminerà col 31 dicembre dell’anno medesimo. 
  • L’appaltatore sarà tenuto di fabbricare e vendere per tutto l’anno il pane bianco e la quantità di esso dovrà per cadun rubbio essere di libbre 528 compreso l’abbottamento.
  • Dovrà egualmente il deliberatario fabbricare e spacciare per tutto l’anno il pane di tutta farina in libbre 640 per rubbio compreso parimenti l’abbottamento. 
  • La vendita dovrà regolarsi a rigorosa tariffa da emettersi dalla Magistratura da 15 in 15 giorni. La detta tariffa potrà essere in ristampa. I prezzi che dovranno regolarla saranno desunti dal quindicinale rapporto che favorisce di rendere al pubblico la nobile Magistratura di Macerata. Dal prezzo che da esso risulterà per ogni rubbio sarà aumentata la somma di scudi 2 per il dazio e spese tutte di panificazione, cottura, spiano e spaccio e quello che sarà per derivarne formerà il prezzo pieno e dovrà basare la tariffa stessa, mentre si conviene che a titolo di discreto utile saranno a vantaggio del fornaro la semola e il carbone. 
  • Non sarà lecito all’appaltatore di variare il peso del pane durante la tariffa sotto la pena di scudi 30 comminata dall’articolo 23 dell’Editto del 10 aprile 1801 e se venderà il pane non ben cotto e bene condizionato oppure sarà mischiato con altri granaglie onde avesse cattivo odore. In caso si trovasse recidivo la suddetta pena sarà raddoppiata ed assoggettato a pene afflittive secondo le rilevanze dei casi. La multa sarà ripartita dall’articolo 24 del citato Editto.
  • Sarà solamente tollerato il difetto di once tre per ogni paolo di pane di qualunque sorta allorchè il medesimo sia riconosciuto troppo cotto o rifatto di almeno tre giorni avanti.
  • La tariffa del pane dovrà sempre essere esposta a pubblica vista nel locale dove si effettua la vendita, che potrà aver luogo ove più piacerà all’appaltatore, purché sia comodo alla popolazione e decente ed in caso di permuta dovrà sempre farsene intesa con la Magistratura. Contravvenendo alla suddetta esposizione di tariffa deve soggiacersi alle pene previste dall’articolo 16 del suddetto Editto.
  • L’appaltatore dovrà sempre tenere provvista la popolazione della qualità di pane nei termini e modi indicati negli articoli 2 e 3. In caso di non osservanza e totale mancanza delle due qualità di pane, per lo spazio e senza i lavori preparati, sarà soggetto alla pena di scudi 4 da cedere in vantaggio dei poveri. Trovandosi recidivo e verificata che la mancanza sia derivata per dolo soggiacerà alla pena di scudi 10 da cedere come sopra.
  • L’appaltatore dovrà pur sempre tener provvisto lo spaccio del pane tanto bianco che di tutta la farina il ragguaglio di mezzo baiocco per caduna pagnotta ed in caso di contravvenzione sarà multato con scudi 3 e recidivando, la multa verrà raddoppiata.
  • Sarà libero a tutti il fabbricare e vendere il pane misto e senza il circolare Dispaccio della Sacra Congregazione del Buon Governo. Osservando l’appaltatore che il suddetto pane misto non sia della qualità dovuta o sia mancante di peso potrà farne fare l’invenzione per essere sottoposto, previo un dettaglio o processo verbale, dei motivi che hanno dato luogo ad eseguire l’invenzione da effettuarsi legalmente all’esame del tribunale competente. Il pane caduto in frode in un processo verbale dovrà dalla Magistratura essere inoltrato al tribunale suddetto onde possa far seguire la necessaria analisi. Tutte le spese inerenti dovranno essere a carico del deliberatario per rivalersene se, come sarà di ragione, contro il contravventore, E per tale effetto in ogni volta che dall’appaltatore si farà procedere a delle invenzioni, dovrà depositare nella cassa comunale scudi tre. Non adempiendosi a questo deposito le invenzioni del pane saranno sempre riconosciute impreesistenti e come non fossero eseguite. 
  • Sarà similmente libero a chicchessia il fabbricare e vendere ogni sorta di pasta e maccheroni, non essendo tutto ciò compreso nella privativa. Non così però le torte, ciambelle e biscotti di pasta lievita la vendita dei quali è sempre inclusa nella privativa.
  • Chiunque in pregiudizio della privativa venderà il pane come agli articoli  2 ,3 e 11 del presente capitolato sarà considerato come defraudatore dei diritti comunali e come tale, provata legalmente la contravvenzione soggiacerà oltre alla perdita del genere, alla multa di scudi 30 da ripartirsi giusta secondo l’articolo 24 del citato Editto del 10 di aprile 1801 e potrà procedersi eziando alla relativa condanna per il  deposito di un solo testimone degno di fede che comprovi senza eccezione veruna, l’infrazione al diritto di privativa.
  • Saranno consegnati all’appaltatore con inventario e stima non solo il locale ma anco gli stigli e altro che la comunità trovasi di possedere. L’appaltatore dovrà tutte mantenere e riattare a sue spese, tutto rendere non deteriorato ma piuttosto migliorato senza obbligo per parte del comune di alcun compenso o riatto.
  • Non sarà ricevuta offerta se non garantita da idonea solidale fideiussione da riconoscersi tale dal pubblico Consiglio.
  • La corrisposta che si converrà, sarà pagata dall’appaltatore in cassa comunale in buone valute d’oro e di argento sonanti. I pagamenti dovranno eseguirsi in rate uguali posticipate e precisamente non più tardi del giorno 1 di ogni mese (ogni 2 mesi). In caso di ritardato pagamento oltre il termine come sovra stabilito l’appaltatore e sua sigurtà in solido saranno sottoposti all’esecuzione forzosa col mandato di Mano Regia.
  • L’appaltatore non sarà ammesso per qualunque ipotesi o titolo a beneficio di sorta alcuna, dovendosi tenere in piena osservanza quanto in proposito di ciò dispongono le Costituzioni Apostoliche ed i propri regolamenti in vigore.
  • Sarà obbligo preciso dell’appaltatore tenere in vendita il pane sempre fuori dal luogo di fabbricazione, dalla mattina al levar del sole fino alle ore 2 di notte. Il locale dovrà essere mantenuto con quella pulizia e decenza che è dovuta al pubblico servizio. Ogni contravvenzione a questo articolo sarà punita con uno scudo di multa che sarà raddoppiato in caso di recidività.
  • Non potrà riservarsi l’appaltatore alle visite che saranno fatte dalle autorità amministrative e giudiziaria per la verifica ed esatta esecuzione di quanto è stato nel presente capitolato stabilito.
  • Risultando in qualunque tempo che per parte del deliberatario, fideiussore o soci, sia stato commesso dolo o altro qualsivoglia atto pregiudizievole all’interesse della comunità, il contratto sarà di nessun vigore ancorché approvato dalla superiorità e tutte le spese del nuovo atto saranno a carico degli stessi deliberatario e fideiussore a rischio e pericolo dei quali si aprirà la seconda asta.
  • Il presente atto non sortirà il suo effetto se non trascorsi i termini di vigesima e sesta e se non riporta la Superiore placitazione.
  • L’appaltatore dovrà riportare il placet della Magistratura sulle donne che sceglierà per spianare, come pure sulla destinazione della fontana dove attingerà le acque per ridurre a pane le farine e ciò in appresso solo di quella nettezza cui il pubblico nel servizio che le si presta è in diritto.
  • Tutte le spese di carta da bollo, registro, strumento, ipoteca competenza ed altro relativo saranno interamente a carico del deliberatario, tenuto per questo a depositare all’atto della delibera presso l’esattore comunale la somma di scudi quattro”. 

Loro 7 ottobre 1832
La Magistratura

(2)“Illustrissimi signori,
Paolo Bernacchioni di Tolentino appaltatore di questo pubblico forno di Loro, con la sigurtà di Francesco Ventura di Urbisaglia rappresenta a vostra signoria illustrissima di essere stato assai deluso nelle promesse fattegli dalla signoria vostra tosto non per malizia ma dietro buona fede …Ad offrire all’appalto di suddetto pubblico forno per cui ne risente già come è noto un danno considerevole in una forte rimessa che vi sarebbe ad essere nel fine dell’anno se la signoria vostra non farà di tutto per risarcire il danno arrecato anche involontariamente.
…di averli indotti a esibire la fortissima corrisposta di scudi 65 e di avere su ciò quasi estorto il loro consenso significando ad essi che in Loro vi sarebbe stato molto smercio e precisamente che per un sacco al giorno o tre coppe almeno, se ne sarebbe fatta garante anche la sua persona invisa ancora di molti braccianti che per molto tempo sarebbero stati occupati in pubblici lavori comunali. Oltre a ciò fece conoscere espressamente che molti, anzi la maggior parte di codeste famiglie si sarebbero servite del pubblico forno e fornaro per la cottura del pane casalino dandone ella il buon esempio, che al cesto sarebbe stato di gran vantaggio per l’appaltatore e di specie perché essendo così tempo il forno caldo con una spesa molto minore lo avrebbe infuocato per il venale. 
E siccome i supplicanti opposero sin dal principio molte difficoltà e di specie la mancanza in carenza comune, di un adatto locale con i necessari utensili fu a ciò risposto dalla signoria vostra che per il primo di gennaio il tutto sarebbe stato accomodato e si sarebbe consegnato dal comune un ottimo locale fornito di tutti gli oggetti opportuni, di cucina e di tutto. La signoria vostra converrà chiarissima la memoria per essere stati disposti di fresco.
...quanto poi i consegnati siano diversi dagli antecedenti e le promesse diverse dalla verificazione non vi è alcuno che lo ignori in questa comunità… un sacco di pane al giorno come asseriva non si vede lo smercio che di una mezza coppa circa, o poco più ed accantoniamo le spese per il mantenimento di due persone della spazzatura ed altre varie sono sempre giornaliere e la corrisposta invece di spese di circa paoli 4 per ogni rubbio come se si fossero panizzati circa 1.550 di grano, secondo veniva assassinato dalla Sua stessa persona, va ad essere di circa paoli 18 non panizzandosi in un anno col calcolo dello smercio attuale che rubbie 35 o 36 circa.
…in relazione poi alla promessa degli avventori per la cottura del pane casalino non si è questa verificata non essendovi per ora alcuno, meno qualche volta la famiglia Bonfranceschi… ciò sarà provenuto dall’altra mancanza essenziale per parte del comune, dal non avere cioè consegnato il locale talmente atto a cuocere, giacché i cittadini essendo soliti di pattuire nel principio per tutto il resto dell’anno… e poi gli utensili occorrenti mancano tutt’ora come ben sa, anche i più necessari specialmente la caldarella di rame e la legnara. Il forno lo stesso non è molto adatto e l’abitazione per l’appaltatore è inabitabile insalubre per la grande umidità onde egli è costretto di tenere appigionata altra casa a sue spese come a sue spese dovette scaldarsi la prima volta il forno con la somma di paoli 30 circa, che dovevano essere sborsati dalla casa comunale, motivo per cui  si potrebbe domandare se mancando le parti essenziali del relativo Capitolato, racchiudeva alcuna nullità intrinseca il contratto, ossia la delibera in questione.
Ma senza addurre in oggi ragione in merito si limitano i ricorrenti, in seguito di quanto esposto,  che il povero appaltatore e sigurtà si sono ciecamente fidati delle sue assertive, che sono stati incauti ed in piena buona fede che di tanto rimessa in rovina né stata e la stessa la causa dietro le tante persuasive di cui sopra. Ragion dunque vuole equità, lo comanda, lo determina la giustizia che ella rimedi al danno gravissimo cagionato nel modo migliore e più conveniente ed è perciò che i supplicanti piuttosto che ad altri a lei direttamente espongono le loro querele e per di lei mezzo signor Priore sperano, lusingano espressamente di vedersi esonerati anche dal pubblico consiglio delle rate di corrisposta che dovrebbero pagare per il tempo dell’appalto già decorso e per le rate del rimanente tempo a venire. Anzi se è meglio piacesse, di rescindere, dal contratto in proposito e così esonerare il principale e la sigurtà da qualunque obbligazione verso codesta comunità a titolo di appalto del pubblico forno di pane venale per il 1833. Vedendosi in caso diverso anche privo di mezzi per la continuazione a questo di abbandonare. Nutrono ogni più ferma speranza di vedersi benignamente compiaciuti nella totalità conoscendo assai bene la bontà e l’equità della vostra Signoria illustrissima e di tutti i membri di codesto rispettosissimo corpo consigliare”. 

11 aprile 1833
Paolo Bernacchioni e Francesco Ventura 

(3)Capitolato Speciale per gestione del Forno Comunale

  • Articolo1) Il Comune di Loro Piceno, proprietario di un forno per panificazione e cottura, sito nel fabbricato di Piazza San Liberato al civico 18 e 19 (n.d.r. numero civico oggi scomparso), concede la gestione del medesimo per la durata di anni 2 a decorrere dalla firma del relativo contratto. la concessione sarà determinata con licitazione privata e limitata ai soli cittadini residenti in Loro Piceno. L’assegnazione viene fatta al miglior offerente sul prezzo base dell’asta che è fissato in lire 50 annue ed è disciplinata dalle seguenti disposizioni oltre che da quelle vigenti in materia.
  • articolo 2) Il conduttore di detto forno sarà obbligato di confezionare il pane secondo le vigenti disposizioni e dovrà uniformarsi a tutte le altre che saranno emanate dal Consiglio provinciale delle corporazioni.
  • Articolo 3) è fatto obbligo al gestore di provvedere giornalmente al bisogno della popolazione nelle qualità che saranno maggiormente richieste.
  • Articolo 4) lo spaccio annesso dovrà essere tenuta aperto come verrà disposto dall’orario che sarà notificato dall’ ufficio comunale.
  • Articolo 5) per la gestione del forno il comune concede l’uso gratuito dei locali per la confezione, cottura, spaccio del pane e stigli, nonché i locali ad uso abitazioni tutti i siti nel fabbricato in Piazza San Liberato.
  • Articolo 6) casa forno negozio e stigli si consegnano nello stato in cui attualmente si trovano stando a carico dell’appaltatore tutte le piccole riparazioni interne ed allo scadere dell’appalto dovranno essere riconsegnati nelle stesse condizioni tenuto solo conto del deterioramento che potrà verificarsi con l’uso ordinario.
  • Articolo 7) Il prezzo offerto per la gestione dovrà essere versato dall’ aggiudicatario in rate annuali anticipate.
  • Articolo 8) saranno a carico dell’appaltatore le spese tutte del contratto ed altre relative.

APPROFONDIMENTI

Un approfondimento relativo al pan venale può essere fornito dal testo:

“L’amico de’ poveri che insegna il vero modo di fare il pan venale col quale possono arricchire i fornaj onesti, intelligenti, e pratici delle regole del loro mestiere, E possono dare un maggior peso di pane ottimo, ben lievitato, e ben cotto alla povera gente”– Edito a Firenze nel 1773

il quale oltre a illustrare il difficile mestiere del fornaio, fornisce indicazioni relative alla qualità del grano, alla cottura, al colore per il pan venale e ci illumina sulle regole da osservare per il pane casalino o casalingo. 

Vero modo di fare il pane.

Il mestiere del Fornaio, che a prima vista pare si facile è uno dei più difficili ed importanti per il bene pubblico. i Fornai ignoranti credono di aver fatto il loro dovere allorché hanno panizzata la farina del loro grano, e vanno avanti senza riflettere né alla salute né alla sussistenza del Popolo che deve cibarsene, ed a molti non è neppure venuto in mente che vi possa essere l’arte e il compenso di cavare dalla loro farina una qualità di pane più spugnoso e nello stesso tempo una quantità o peso maggiore dell’ordinario loro prodotto, contentandosi essi di ricavare da uno staio di grano  libbre 56  al più di pane ordinario e male lievitato, mentre osservando le vere regole del mestiere potrebbero ricavare libbre 64 di pane ottimo e spugnoso. Scapitando pertanto il pubblico in tal forma per l’ignoranza dei Fornai un ottava parte del pane, nel grano, che si consuma e vendendosi per conseguenza ai poveri il pan venale male lievitato e spesso malsano di un peso più scarso del 12% di quello che dovrebbe vendersi il pane buono spugnoso e ben lievitato. Un amico dei poveri ha creduto bene di dare alle stampe la presente istruzione sul vero modo di fare il pan venale affinché tanto i Fornai quanto i Particolari (4) possano servirsene per il bene comune. 

Qualità del grano per il pane ordinario venale (4).

Il pane per la povera gente suol farsi in molti modi specialmente nell’annate di carestia poiché allora la fame e l’indigenza costringe i poveri a fare pane infino con la farina dei semi destinati in altri tempi al pascolo degli animali.
Sono diverse ancora le maniere con le quali si fa il pane per la povera gente che per i contadini e lavoratori di campagna nell’annate ordinarie nelle quali il grano è a buon prezzo. Nei poderi per esempio dello Stato fiorentino si fanno anche nell’annate di abbondanza tre diverse sorti di pane per i contadini secondo le diverse grasce che producono i rispettivi poderi. 
La prima sorte di pane da contadini è composta da un mescolo di due terze parti di grano e di una terza parte di biade diverse cioè di segale veccia, scandella e saggina e di questa sorte si assegna alla popolazione, mista di uomini e donne, uno staio per testa, ogni mese.
 La seconda sorte è composta di un terzo di segalaro e un terzo di vecciato ed un terzo di granoturco. Il segalaro è una biada in cui si trova mescolato naturalmente un poco di grano e un poco di vecce. Il vecciato è una biada in cui si trova mescolato qualche poco di grano: di questo pane, come meno sostanzioso si assegna alla popolazione mista come sopra uno staio e un sesto per testa, ogni mese. 
La terza sorte di pane da contadini è composta di un terzo di scandella, di due parti di vecciato e di quattro parti di saggina, E di questa sorte si assegna alla popolazione mista uno stadio e mezzo a testa il mese per essere molto meno sostanzioso del primo.
Nelle città del Granducato non si usa di mescolare alcuna sorte di biade nel pane destinato per il basso popolo, ed in passato la legge ordinava sotto rigorose pene, che questo pane chiamato volgarmente pan venale fosse fatto con farina di grano puro e solo era permesso ai Fornai di servirsi di due specie di grani cioè di gran grosso e di gran mischiato. Per il grano mischiato per essere regolare doveva essere composto di due terzi di grano grosso e di un terzo di grano gentile.
La legge dell’Abbondanza (5) prescriveva ai Fornai che per il pan venale dovessero servirsi di
un quarto di grano grosso buono
un quarto di grano grosso mediocre
un quarto di grano mischiato buono
un quarto di grano mischiato mediocre
onde ne seguiva che la totalità del grano destinato per il pan venale doveva essere composta di un sesto di grano gentile di 5/6 di grano grosso con che luna e l’altra specie fosse peraltro di qualità ordinaria cioè media e buona vale a dire per una metà di qualità ottima e per l’altra metà di qualità inferiore. 
Nella città di Roma (siccome l’agro Romano generalmente non produce se non che una specie di grano gentile bianco detto cascola e qualche poco di grano gentile rosso e che di questo grano l’Abbondanza di Roma fa le sue provviste le quali si distribuiscono ai Fornai di quella città per fabbricare il pan venale) il pan venale per sua natura deve essere più bello e più bianco del pane venale di Firenze. ma siccome la qualità ed il colore del pane dipende non solo dalla qualità del grano ma ancora dalla quantità dei grossumi, codetta o tritello che si panizza con la farina, si deve esaminare quel parte di tali grossumi possa e debba farsi entrare nel pane venale. 

Pane casalino o casalingo 

Quasi tutti i padri di famiglia per uno spirito di malintesa economia sogliano fare nelle loro case il pane per loro consumo detto pane casalingo senza sapere le vere regole qui sopra spiegate dell’arte del Fornaio contentandosi di  dare soli due impasti al loro pane, ma se ne facessero bene i loro  scandagli e facessero pesare il pane che ricavano da ogni staio di grano  si  avvedrebbero ben presto che ciò non torna loro niente a conto  poiché non è possibile che il pane casalingo sia così lievito come quello dei Fornai a motivo che non si hanno nelle case particolari le stufe né gli altri comodi necessari e perlopiù i servitori e le serve destinate a questa manipolazione oltre  a non sapere i primi principi non vi mettono  la dovuta attenzione e fatica donde ne segue che da 45 libbre di farina ricavano appena 54 libbre di pane pesante e mal lievitato e per lo più malsano e molti padri di famiglia sono imbevuti della  erronea opinione  che il pane casalingo sia più sostanzioso del pane venale  e che il pane nel quale si è panificata o per dire così pietrificata anche una minore quantità d’acqua dia maggior nutrimento agli uomini, il che è falsissimo poiché più il pane è spugnoso leggero e ben lievitato più conferisce alla salute senza aggravare lo stomaco, l’acqua che si fissa nel pane si incorpora con lo spirito del lievito e diventa in sostanza pane vero e reale. Siccome il pane lievitato è più sano e nutrisce più dell’azimo ne viene in conseguenza che il pane che è il più lievitato e che ha ritenuto una maggiore dose di acqua è il più sano e di maggiore nutrimento. I prudenti padri di famiglia osservano per regola di non fare per loro consumo il pane casalingo se non quando i Fornai pubblici fossero ignoranti e mal pratici delle buone regole del loro mestiere oppure quando i medesimi Fornai fossero male onesti e usurai e non vendessero il pane di giusto e discreto peso il che difficilmente può accadere nei luoghi popolati ove vi sia la concorrenza ed emulazione di più Fornai che abbiano la libertà di fare il pan venale.
Il prezzo ed il peso del pane devono fissarsi sopra un conto esatto delle spese alle quali è sottoposto il Fornaio e della ripresa in denari che può ricavare dalla vendita del pane. Nel conto delle spese la partita più forte è quella del costo del grano onde se questa partita per il caro prezzo del grano aumenta ne viene in conseguenza che non volendosi aumentare il prezzo della pagnotta deve scemare il peso con una giusta proporzione affinché il povero fornaio possa avervi il suo onesto guadagno.
Il basso popolo che non è capace di fare da sé questo conto di riduzione e che si vede vendere per la stessa moneta un pane più piccolo inveisce per lo più inconsideratamente con maledizioni contro i Fornai ancorché questi facciano il loro dovere e vendano il pane del suo giusto peso.  E perciò le persone illuminate faranno sempre un atto di carità se si daranno la pena di illuminare il volgo sul peso giusto che deve avere la pagnotta a proporzione del prezzo corrente dei grani conforme fece saviamente e caritatevolmente l’Abbondanza di Firenze con le due scale pubblicate nell’anno 1767 per i Fornai di Firenze e di campagna.

(4) Il Forno del “pan venale” in epoca pontificia era il forno del pane a pagamento; qui il panicocolo (fornaio) lo faceva e lo vendeva, e il tutto era regolato dal Comune. Inoltre bisogna fare la distinzione tra il forno del pan venale, che appunto fa il pane e lo vende, ed il forno dei Particolari, quello più grande, che cuoce pane che le massaie portano da casa.

(5) L’Abbondanza fu tra le principali magistrature annonarie fiorentine. Le competenze furono esercitate da una magistratura straordinaria, documentata a partire dalla seconda metà del XIII secolo e riformata più volte  Essa fu incaricata dell’approvvigionamento del grano e delle biade nei periodi di carestia, del loro trasporto nei magazzini, della loro conservazione e circolazione, nonché del controllo del loro commercio durante le fiere e i mercati.
Al Magistrato dell’Abbondanza spettò il controllo della produzione dei grani e delle biade del dominio e la regolamentazione del loro commercio interno.

Altri stretti controlli riguardavano il peso del pane, il prezzo dei grani sui mercati, la circolazione dei grani, le misure contro il contrabbando, l’esportazione dei grani fuori dallo Stato o l’incetta. Quest’ultima, infatti, rimase una prerogativa della sola Abbondanza che, per smaltire i depositi di grano di sua proprietà, cominciò a venderli ai fornai. Tale assegnazione di grano, detta comunemente “spiano”, continuò come pratica comune fino al XVIII secolo.