Le mura costituivano la difesa dei centri e a volte anche l’esplicita volontà rappresentativa della potenza e ricchezza della città. Luoghi in rapido sviluppo potevano anche avere più mura concentriche. Lungo il loro perimetro si trovavano torri in laterizio, di cui alcune angolari e altre chiamate “rompitratta” atte ad interrompere la linea per consentire una migliore difesa.
Oggi, quasi ovunque, le torri hanno subito numerose trasformazioni e sono state adibite ad altri usi. Alcuni tratti di mura sono stati demoliti per creare nuovi accessi, altri sono visibili solo internamente, in quanto possono essere stati inglobati in altre costruzioni sorte successivamente.
Le torri cannoniere rientravano nella fattispecie delle torri rompitratta, ovvero torri poste ogni 20/30 metri di distanza che interrompevano la cinta muraria allo scopo di difendere, con l’arco, le balestre, le armi in asta e le armi da fuoco, il luogo fortificato.
Le armi in asta, avevano una lunghezza di 250 – 260 centimetri e venivano utilizzate per procurare gravi danni all’avversario.
Aveva lo scopo di infilzare (azione di stocco), tagliare e frenare gli attacchi di spada o di altre armi in asta.
– collezione Luca Cimarosa –
Aveva lo scopo di infilzare (azione di stocco), tagliare e fratture nonché squarciare.
– collezione Luca Cimarosa –
Aveva lo scopo di infilzare (azione di stocco), tagliare e fratture nonché frenare gli attacchi di spada o di altre armi in asta.
– collezione Luca Cimarosa –
La torre cannoniera aveva la caratteristica di alloggiare bocche da fuoco di medio e piccolo calibro quali bombardelle, falconetti, spingarde e fuciloni da spalto, atte a sfondare i mezzi difensivi individuali (armature).
(lunga cm 197,5 – calibro mm 18,90)
– collezione Luca Cimarosa –
– collezione Luca Cimarosa –
La nascita e la costruzione delle torri cannoniere si può far risalire al 1300/1400, ovvero al periodo nel quale comparve in Europa la cosiddetta “polvere nera” (un miscuglio composto da un 75% di nitrato di potassio detto salnitro che si reperiva facilmente sui muri umidi delle abitazioni, 15% di carbone di legna in polvere e 10% di zolfo in polvere) che venne usata in scala massiccia per l’offesa e la difesa. Nei secoli successivi queste torri vennero restaurate e riadeguate, come già accadde nel XV secolo, con l’avvento di armi da fuoco sempre più precise e potenti.
Nel XVIII secolo subirono restauri e amputazioni, soprattutto vennero private dei merli di cui erano dotate.
Ogni torre cannoniera era dotata di una santabarbara. Il termine indicava i depositi di munizioni delle fortezze cioè dei locali per conservare sia la polvere da sparo, in appositi barili da 5/6 libbre di peso atti a riparare sia la polvere nera dall’umidità sia le palle esplodenti.
Le palle erano di diversi tipi, le più arcaiche erano in pietra dura, realizzate esclusivamente a mano.
Successivamente vennero costruite in piombo (per gli archibugi, i fuciloni da spalto e le spingarde) con un calibro variabile dai 18,50 ai 22 millimetri,
ed in ferro per le bocche da fuoco medio/grandi.
Lo spalto, nelle fortificazioni, indicava il terreno in lieve pendio verso l’esterno o la controscarpa delle opere fortificate per proteggere i difensori che stavano su di esse per coprirsi dal tiro avversario.
– collezione Luca Cimarosa –
Come citato in precedenza, vi erano le palle esplodenti ovvero palle cave internamente che venivano riempite, tramite un foro, con la polvere nera.
Nel predetto foro veniva infilata una miccia costituita da un panno di lino aperto, al centro del quale veniva posta una striscia di polvere nera. Successivamente il panno veniva arrotolato in modo che la striscia all’interno non si interrompesse e, una volta terminata l’operazione, il rotolo veniva rivestito con cera o pece in modo da inibire il passaggio dell’umidità e rendere il tubo, così creato, solidale. Poco prima dello sparo, quando la palla era già inserita nella bocca da fuoco (di solito le palle venivano usate nelle bombarde), veniva accesa la miccia ed immediatamente dopo veniva accesa la carica di lancio dell’arma in modo che la palla esplodente venisse lanciata a debita distanza e potesse fare il suo effetto cioè procurare danni considerevoli agli assalitori.
La santabarbara era costituita da uno o più locali alti circa 3-4 metri dove venivano stipati i barili in legno per la polvere da sparo e accatastate le palle esplosive, su base quadrata, a formare delle piramidi. La copertura di questi locali era normalmente a volta a sesto acuto con uno sfiato nella sommità e tali locali erano posti a 2/3 metri di distanza dalla torre cannoniera in quanto c’era il rischio che, in seguito ad uno sbrecciamento delle mura da parte degli assalitori, ed il conseguente uso di palle esplosive, il deposito della polvere nera potesse deflagrare “per simpatia” e distruggere l’intera fortificazione.
Tale tipo di esplosione, detta anche detonazione “per influenza”, è un fenomeno che può verificarsi allo scoppio di una massa di esplosivo poiché si produce un’onda di pressione e di gas che si espande a velocità molto rapida. Quest’onda si trasmette attraverso l’aria, il terreno o l’acqua. Se raggiunge un’altra massa di esplosivo, posta nelle vicinanze, si può comportare, nei suoi confronti, come un innesco: con il suo urto provoca la rottura dei legami molecolari e quindi il suo scoppio. Il fenomeno dipende dalla distanza tra i due esplosivi e dalla quantità di quello che esplode per primo.
La torre cannoniera era dotata a volte di uno o più passaggi sotterranei collegati o con altre torri cannoniere o con delle aree interne per essere rifornita velocemente; tali passaggi erano chiamati “da munizione”.
Le mura di cinta che presentavano lungo il loro tracciato le torri rompitratta, verso la fine del 1400 erano costituite da una doppia muratura: una interna ed una esterna a circa 50 -80 cm di distanza. Tra esse l’intercapedine che si creava, veniva costipata di terra in modo che tale spessore fermasse le palle che altrimenti sarebbero andate a “sbrecciare” le “vere” mura di cinta, cioè quelle più interne.
Loro Piceno agli inizi del 1900 veniva descritto quale paese “… costruito sul pendio della collina verso levante, in modo che ogni casa ha la sua parte di sole e di brezza marina. E’ recinto da mura castellane, con frequenti torrioni ben conservati. Pochi anni orsono, per comodità di traffico fu demolita la <Porta San Francesco> e molti anni prima era stata demolita la <Porta Mogliano> (n.d.r. <Porta San Giovanni>) che era una superba torre merlata”.
E ancora: ”Dietro il Municipio, sul culmine della collina, a 453 metri sul mare, è issato a picco su piazza Brunforte l’antico castello, solido e quadrato, che con la mole delle superbe torri, soggiorno di branche di rondini, sovrasta, imponente e austero, da ogni parte il paesaggio”. …” Il torrione di sud-ovest conserva ancora la traccia di merli; lì presso un altro più piccolo strapiomba dalle mura castellane di ponente, piantato su tre piloni riuniti da due archetti attraversati da una trave di legno ….”..” Il torrione di levante, unico edificio del paese costruito con elegante precisione in pietre sagomate, alto più di venti metri, ha sul tetto a padiglione la torretta trigonometrica, sino al 1784 vi risiedette il pubblico orologio, trasferito poi su la torretta civettuola del palazzo municipale” (I)
A Loro Piceno sono presenti, tutt’oggi, tratti di mura che nei secoli si sono modificati ma permettono ancora di individuare e localizzare la presenza di torri rompitratta e di quelle con funzione di cannoniere. Queste ultime sono facilmente identificabili in quanto alcune sono torri rompitratta dotate di troniere (dall’italiano arcaico “dove tronavano le artiglierie”).
– il Torrione –
Chiaramente individuabili le torri cannoniere sono identificabili anche dalla forma planimetrica pentagonale. Tale forma “spigolosa” o meglio “sfuggente”, sempre dotata di troniere, risultava idonea a non offrire al nemico la parte piatta della muratura, ma di presentare, verso l’esterno, una forma tale da non fare impattare le palle con conseguente “sbrecciatura” delle mura. Le palle scivolavano da un lato perdendo gran parte della loro energia distruttiva.
Una torre cannoniera, dotata di due troniere e di una postazione per cannoni da medio/grande calibro è la cosiddetta “Neviera” posta a nord/ovest e vincolata dall’art. 5 del Dlgs 490 del 1999, come risulta dalla catalogazione dell’ICCD. Un’altra torre cannoniera, denominata “Bastione”, è visibile da Piazzale Leopardi, anch’essa vincolata come la precedente, civilizzata ed ora priva di troniere o altre postazioni di artiglieria. L’ultima, non vincolata e snaturata, è visibile lungo la circonvallazione est, ora inglobata nel palazzo Marcucci.
Doverosa risulta una precisazione. Per i loresi la “Neviera” individua quella che correttamente è invece una torre cannoniera conservata benissimo, la cui santabarbara, privata del suo piano calpestabile originario e scavata in profondità per diversi metri, è diventata nel 1800 circa, una “Neviera”. Tale ipotesi risulterebbe supportata dal diverso tipo di muratura all’interno della struttura, così modificata ad altro uso.
Notare il diverso tipo di muratura. La parte ogivale, ovvero il corpo della santabarbara risulta ben diverso e non coevo dalla restante muratura (la muratura col mattone in verticale era spesso usata per rivestire i pozzi dal settecento fino ai primi del novecento).
Da notare altresì che lo sfiato, nella sommità, è stato allargato per far passare più agevolmente la neve (vedasi la diversa ossidazione del laterizio).
La neviera era utilizzata per raccogliere, in inverno, la neve da usarsi per il raffreddamento di cibi e bevande o per altri usi. Il carico della neve era effettuato da un’apertura superiore (presente anch’essa nella santabarbara per la ventilazione della stessa e successivamente allargata), mentre attraverso delle porticine laterali, veniva estratto il ghiaccio.
Dissolta ogni ambiguità e dubbio, possiamo dire che la torre cannoniera detta impropriamente “Neviera” di Loro Piceno è oggi costituita da tre livelli di cui due ispezionabili. In quello superiore è presente un alloggiamento per bocca da fuoco di medio/grande calibro, a livello intermedio è presente una troniera in cotto. Il terzo livello è quello seminterrato, dove è visibile, verso nord/ovest, un’altra troniera del diametro di circa 20 cm, in cotto, sempre a forma di imbuto rivolto verso l’interno, dalla forma e dal materiale tipico delle nostre aree. Tali troniere non presentano lo spazio dedicato alla mira superiore, come è possibile notare negli esempi in pietra, caratteristica di altre aree dove era usata la pietra arenaria per la costruzione delle fortificazioni stesse.
(Si notano delle iniziali e uno stemma nella parte alta)
Proprio la presenza della troniera costituisce un indizio, o meglio una prova, che ci informa della presenza di un altro locale da cui si accedeva dal livello intermedio e che oggi risulta occluso da detriti e terra e non accessibile.
Se dovessimo percorrere i resti delle attuali mura di cinta del paese troveremmo altre torri rompitratta con funzioni diverse. Partendo dalla “neviera”, ancora oggi, possiamo vedere la presenza della torre angolare rompitratta, modificata e mozzata, che attualmente ospita il terrazzo del teatro comunale. Possiamo inoltre ipotizzare la presenza di due antiche torri laterali alla Porta San Francesco, oggi non più esistente, altre due torri, anch’esse modificate, sono presenti nel tratto di mura del Girone ( i cosiddetti: Torrione e la Torre degli Impiccati), poi la torre angolare merlata e quella mozzata del castello. Successivamente incontriamo il sopra citato “bastione” visibile da Piazzale Leopardi; ipotizzabile ancora la presenza di torri rompitratta laterali all’antica porta del Carmine o Porta San Benedetto (demolita nel 1833). Proseguendo lungo Via Cristoforo Colombo (sopra l’attuale campo di calcetto) sono tutt’ora visibili altre tre torri rompitratta, anch’esse mozzate. Sempre proseguendo lungo la stessa via sono individuabili altre torri rompitratta mentre di altre si sono perse le tracce come quelle che dovevano essere presenti ai lati di porta S. Lucia demolita nel 1876 e di porta San Giovanni (demolita nel 1862 e sostituita con due piccoli murelli di guardia).(II)
La documentazione storica ci dà informazioni circa la rarità e complessità dell’antico tracciato di mura esistente a Loro Piceno nei secoli passati. Le mura di cinta dovevano essere possenti già nel XIII secolo, fornite di molti torrioni. Nel XV secolo, gli ottomani dopo la presa di Costantinopoli minacciarono anche l’Italia, misero in allarme anche i nostri territori e gli abitanti loresi, seppur costretti a inviare denaro a Fermo, che, per nome del pontefice chiedeva aiuti per la guerra contro i Turchi, fortificarono nuovamente le mura, tanto che il parlamento lorese nel 1447 deliberò che i contribuenti dovevano acquistare, a seconda della classe di appartenenza, delle corazzine,
– collezione Luca Cimarosa –
delle balestre e armi di minor valore. Le mura di difesa di Loro furono più volte minacciate come alla fine del 1512 quando un esercito di oltre tremila uomini (ginesini, ascolani e uomini di paesi limitrofi), provenendo da Ripe, si posizionò nei pressi delle mura e iniziò a bombardarle, ma esse non subirono gravi danni, come riporta il Cicconi.
Agli inizi del 1900, il professor Luigi Serra, docente universitario di storia dell’arte medievale e moderna poi infaticabile soprintendente delle Marche, si interessò scrivendo delle fortificazioni nelle Marche e anche delle mura di Loro Piceno definendole “un esempio notevole di arte militare”.
“Ma poi è soprattutto ammirabile l’antico recinto delle mura castellane che il Chiar.mo Prof. Luigi Serra- lo storico dell’arte delle Marche- dichiarava un raro modello di arte militare, con i resti dell’antica fortezza o cassero, o Girone e con frequenti Torrioni ben conservati, che hanno avuto un appassionato illustratore nel Dott. Pietro Santini.(III)
I numeri in planimetria, posizionati lungo il tracciato murario indicano le torri o parte di esse, ancora oggi visibili, seppure modificate (mozzate, inglobate o parzialmente distrutte).
Riportiamo alcune parti della descrizione del Dott. Pietro Santini:
“ Infiliamo il viale, rasente le mura castellane… verdeggia il Girone e troneggia il monastero delle domenicane iscritto nell’elenco ministeriale degli edifici monumentali, dominante il panorama sino agli Appennini. Tre torrioni rendono il paesaggio austero parlando il loro linguaggio di antichi dominatori: il primo a piramide tronca, scuro, in basso, quadrato, di colore giallo in alto, regge un’ampia terrazza del parco pubblico; pochi metri più in là un altro eccita la fantasia del popolino su cervellotiche esecuzioni capitali in tempi più feroci, a causa dei tre piloni paralleli reggenti il vano adibito a cappellina nell’orto delle monache. … Proseguiamo: all’angolo sud-ovest del monastero, il più alto torrione, di colore ferrigno, fa simmetria con uno basso e disadorno… Più in basso sorpassa la linea delle mura in superficie e in altezza il torrione pentagonale adattato internamente a casa di abitazione coperto e terrazza.
Le mura si interrompono con la riduzione effettuata nel 1897 ad abitazione della Chiesa del Carmine (elevata nel 1736), e con la costruzione del muro semicircolare di Piazzale Leopardi e dell’architettonica Porta… scendiamo sino ad imboccare la circonvallazione di levante tutta piana che si allontana alcuni metri dalle mura dell’abitato fronteggiando così spazi privati e coltivati a giardino. Nel vasto prato, della sontuosa Casa delle opere parrocchiali, richiederebbe qualche cura il torrione slanciato con la finestra rotonda ed una a sesto acuto di altro proprietario. Nel giardino del palazzo Mastrocola due ben conservati torrioni limitano la vistosa serra di limoni che si apre al sole sopra le mura castellane; altri due sono incorporati nei vetusti palazzi dei nobili Marcucci e dei conti Bernetti Evangelista. Tra questi due edifici le mura castellane furono demolite per la costruzione della Chiesa di Santa Lucia allungata sino alla strada nel 1876. …
Coperto di folti e sempreverdi rampicanti si eleva a malinconicamente…. il torrione dove all’ultimo piano una severa “gelosia” segna la camera di sicurezza della caserma dei Carabinieri occupante buona parte del palazzo dei nobili Vermigli iscritto tra gli edifici monumentali. Nel giardino un arco grandioso a piombo davanti la scarpata delle mura castellane regge una lunga e stretta terrazza all’altezza del primo piano del palazzo. Sul muro di cinta del giardino del palazzo Tesei si affaccia una ricca di variopinta stesa di fiori profumatissimi. Non c’è più minima traccia della merlata porta Mogliano demolita da secoli per utilizzare il materiale edilizio insieme con un centinaio di metri di mura castellane nella parte settentrionale del paese.
…Dopo la chiesa del Soccorso, (oggi granaio del popolo – n.d.r. oggi non più esistente) la strada volge a sinistra salendo ripidamente; rasenta l’angolo del torrione piatto pentagonale che ha quattro lati fuori la cinta alto 12 m con perimetro di 35 m di mattoni gialli. Dopo un piccolo residuo di torrione, eccone uno all’angolo nord-ovest, parte ridotta a legnaia e parte sormontato dalla terrazza del teatro”.(IV)
Percorrendo l’attuale circonvallazione del paese, partendo dalla torre cannoniera detta la “Neviera” posta a nord/ovest (indicata con il numero 1) e spostandosi in senso antiorario (seguendo la numerazione), ancora oggi possiamo rintracciare una serie di torri, poste lungo il tracciato delle mura, modificate nel corso dei secoli.
Curiosità
Nel 1862, ad Osimo, in un locale interrato e successivamente riempito di detriti, dopo i lavori di restauro di una torre cannoniera è stata rinvenuta una famosa e rara bombarda ora conservata al Museo Nazionale dell’Artiglieria di Torino. Attualmente Osimo conserva in loco una copia.
La bombarda o petriera di Osimo (lanciava proiettili di pietra), chiamata “Misbaba” o “Cannò de Figo” è un pezzo di artiglieria quattrocentesca, caratteristica per la sua epoca. Il nome che gli è stato assegnato deriva dal fatto che, la prima volta che venne impiegato, probabilmente a causa di un malfunzionamento non raggiunse l’obiettivo, colpendo invece gli uomini che gli stavano attorno. Da qui l’espressione con cui è da sempre conosciuto, poiché in quell’occasione il cannone “ha fatto figo”.
La bombarda di Osimo è di ferro colato, composto di 2 parti: la prima è di forma cilindrica, del diametro di 30-35 cm, della lunghezza di 85 cm ed è la camera di scoppio; la seconda è un secchio cilindrico del diametro di 60 cm: deve contenere il proiettile e comunica con la prima parte per mezzo di un foro largo 30-35 cm. Pesa complessivamente 1190 kg, con un proiettile di 203 kg.
Sulla possibile provenienza di questa bombarda possono farsi due ipotesi: la prima è che essa sia rimasta ad Osimo per la cacciata dei Malatesta; la seconda è che essa sia stata donata agli osimani dal capitano di ventura Niccolò Piccinino (Perugia 1386 – Corsico 1444) dopo aver cacciato gli Sforza.
Contributo storico/militare fornito da Luca Cimarosa
Note:
(I) Pietro Santini – Loro Piceno, pag. 7,8 – Macerata – Unione tipografica Operaia 1932…” ⇑
(II) P.Consolati- F.Mucci- C.Nalli – Loro Piceno pag. 258 – Giuffrè Editore Milano 1998 ⇑
(III) Mons. Giovanni Cicconi – Notizie storiche di Loro Piceno, pag. 170 – Casa Editrice Dott. A. Giuffrè, Milano 1958 ⇑
(IV) Pietro Santini – Almanacco 1947 – La nostra gente, le nostre glorie. Di tutto un po’. – I torrioni di Loro Piceno –- Edizioni APIES- Società tipolitografica Editore – Ascoli Piceno ⇑